La situazione italiana
L’impossibilità di essere un Paese "normale"
L’impossibilità di essere un Paese "normale"
Quel che sta
accadendo negli ultimi giorni prova, ancora una volta, l’anormalità del
“sistema Italia”. Anormalità - parola grossa - rispetto a che
cosa? A un processo, sviluppatosi principalmente in Occidente,
teso a far coincidere formazione dello stato nazionale,
nascita dei parlamenti eletti, sviluppo delle istituzioni di
mercato, laicizzazione della cultura.
Può piacere o meno,
ma negli ultimi secoli, tutto ciò ha rappresentato la
“normalità”, altrimenti conosciuta come modernità. Senz’altro
"provvisoria" dal punto di vista della “filosofia della
storia”, ma comunque orizzonte, come dire, imprescindibile per i
contemporanei, volenti o nolenti. Naturalmente, non si è trattato
di un processo lineare e cronologicamente perfetto: ogni nazione ha
tuttora le proprie zone grigie. Insomma, la “normalità” resta una
specie di ideale regolativo al quale in Occidente - ma non solo -
molti si avvicinano, tanti tendono, pochi rifiutano.
E l’Italia? Diciamo
che si colloca tra i paesi che per un verso “tendono” per l’altro
“rifiutano” la “normalità”. A voler essere più precisi: l’ Italia
“tende” a parole ma “rifiuta” nei fatti. In realtà, a proposito
dello Stivale, più che di stato unitario, si dovrebbe parlare di stato
pluricomunale; più che di istituzioni parlamentari, di feudalesimo; più
che di mercato, di economia satrapizzata; più che di laicizzazione, di condomino
culturale.
È perciò ovvio
che nell’Italia “anormale”, sempre in bilico tra modernità e
antimodernità, sempre in guerra con se stessa, sempre sospesa tra rivoluzione e
reazione, si continui a brancolare nel buio in cerca di
soluzioni che non possono non essere provvisorie e inadeguate, perché
minate dalla mancanza di una netta scelta di campo.
Come concludere?
Che dover discutere ancora di queste cose, è
veramente avvilente.
Carlo Gambescia
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