Il libro della settimana: Marshall McLuhan, Intervista a
Playboy. Un dialogo diretto con il gran sacerdote della cultura pop e il
metafisico dei media, Edizione italiana e Postfazione di Luca Barra, Franco
Angeli 2013, pp. 96, Euro 15,00 .
http://www.francoangeli.it/ |
Veramente felice
l’idea di tradurre un’autentica chicca come l’intervista a “Playboy”
concessa da Marshall McLuhan al giornalista Eric Norden, anno di grazia
1969. Il prodotto finito è un denso volumetto, ben curato da Luca
Barra, per i tipi della Franco Angeli, nella collana
“Comunicazione e Società” diretta da Vanni Codeluppi.
Piccolo avviso, in stile Totò, per i lettori-guardoni impenitenti:
"Arrangiatevi!", perché nel volume, come è giusto che sia,
non c'è alcuna riproposizione della “Playmate” di quel numero,
biondissima e ammiccante, magari tratta direttamente dalle pagine centrali,
piuttosto calde, della famosa rivista di " entertainment only men”:
uomini che amavano mescolare, come si prediligeva nei pionieristici Sixty,
e non solo negli Usa, belle curve e cultura pop, meglio ancora se di buon
livello e soprattutto di taglio progressista, sempre con
moderazione però. Il che spiega la presenza in quelle pagine
di McLuhan, novello e spassionato esploratore degli effetti
della tecnologia sulla cultura popolare. Quasi umana riprova (e icona)
della sua famosa tesi. Infatti, il medium (“Playboy”) non
poteva non essere anche il messaggio (le pop-idee) di McLuhan…
Una volta fatte le
presentazioni - e, si spera, perdonate la battute, in particolare
l'ultima - va subito chiarito, e seriamente, perché un libro come Intervista a Playboy merita di essere letto. A
dire vero, lo spiega così bene nella Postfazione Luca
Barra, al punto di rendere difficile la vita del recensore. Quattro
le ragioni, che ovviamente sottoscriviamo.
La prima:
«L’intervista a Playboy è [...] per McLuhan una
consacrazione intellettuale in chiave pop: da un lato, l'accettazione di una
élite letterata e
salottiera, dall’altra, il simbolo di una forte traccia ormai lasciata dal
teorico nellapopolar culture, oggetto
studiato e forma della propria rappresentazione (p. 79). Proprio come, pur
scherzando, si diceva...
La seconda: si
tratta di un «tentativo riuscito di rendere più accessibili a un vasto
pubblico di lettori “generalisti” le idee e intuizioni di McLuhan […].
L’occasione di raccontare, riassumere e per certi versi sistematizzare le
teorie delle studioso, in una sorta di “bignami” dei concetti fondamentali e di
chiarimento adatto a tutti (o, almeno, a molti)» (pp. 79-80). Di qui,
l’importanza di leggerlo, per arrivare subito al nocciolo del suo
pensiero.
La terza: l’intervista « può risultare un utile contributo per capire la generosità con cui McLuhan si getta nei dibattiti a lui contemporanei, sia le inevitabili controversie con cui il pensiero e i testi di McLuhan si sono dovuti costantemente confrontare, sia negli Stati Uniti, sia nel resto del mondo» (p. 85). Il che è verissimo. In Italia, ad esempio, Umberto Eco, può essere considerato un mcluhaniano pentito.
La terza: l’intervista « può risultare un utile contributo per capire la generosità con cui McLuhan si getta nei dibattiti a lui contemporanei, sia le inevitabili controversie con cui il pensiero e i testi di McLuhan si sono dovuti costantemente confrontare, sia negli Stati Uniti, sia nel resto del mondo» (p. 85). Il che è verissimo. In Italia, ad esempio, Umberto Eco, può essere considerato un mcluhaniano pentito.
La quarta:
l’intervista «costituisce un “grimaldello” con
cui scassinare la complessità, e talvolta persino l’oscurità, di un pensiero
che rimane ancora decisamente valido, di un classico con cui ogni studioso di
media deve per forza confrontarsi» (p. 87).
Siamo troppo
didascalici e, per cosi dire, troppo dalla parte del curatore? Diciamo che la Postfazione , come
impone l’etichetta, l’abbiamo letta, e con piacere, alla fine,
dopo che si era già formata in noi un certa idea, naturalmente anche
frutto di precedenti letture dell’opera di Mcluhan (si veda anche qui: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2011/04/mcluhan-e-pound-amici-non-per-caso.html ). E quanto ora
esporremo, potrebbe rappresentare la quinta ragione per leggere Intervista a Playboy .
Fin dalle prime
pagine il nostro pensiero è andato a Gehlen e alla sua
tripartizione della tecnica come sostituto dell’organo, esonero dell’organo,
superamento dell’organo. Tre concezioni ricondotte dallo studioso tedesco
nell’alveo della ciclica ambivalenza di una tecnica, antica quanto
l’uomo, perché «sempre servita ad aiutare a vivere e a far morire» (Prospettive
antropologiche, il Mulino 1987, pp. 127-140). E così ci siamo
chiesti: E McLuhan? Rispetto a questa posizione, tutto sommato
equilibrata, dove e come si colloca? La risposta, crediamo, sia in questo
passo, che rappresenta l’essenza del pensiero mcluhaniano: «La
maggior parte della gente, dai camionisti ai bramini letterari, ignora ancora
del tutto cosa i media fanno loro; ignari che, dati i suoi pervasivi effetti
sull’uomo, è il medium stesso che è il messaggio, e non il contenuto,
e altrettanto ignari che il medium è anche ilmessaggio – che, lasciando da parte i giochi
di parole, letteralmente interviene e satura e modella e trasforma ogni
rapporto tra i sensi. Il contenuto o il messaggio di ogni singolo medium ha
circa la stessa importanza delle decorazioni del rivestimento di una bomba
atomica» (p. 16).
Ecco il punto
filosofico: secondo McLuhan la tecnica, mediatica o
meno, non è questione di contenuti bensì di forma. Di
conseguenza, per usare il linguaggio di Gehlen, la tecnica può
sostituire, esonerare, superare, non sulla base di scelte legate ai
valori (il contenuto) ma di una forza propria, se si vuole travolgente,
che deriva dal suo essere (forma) tecnica .
Di
colpo, McLuhan rovescia il gigantesco e forse insolubile
problema intorno al quale si sono arrovellati, solo per
fare alcuni nomi importanti, Simmel (in primis), Sombart,
Max Weber. Per i quali, pur con sfumature differenti, la tecnica
è contenuto (o valore) in conflitto con se stessa, ossia con la tecnica
solidificatasi in istituzione ( o forma). Detto altrimenti:
per Simmel, Sombart, Weber, in ultima istanza, è sempre il
messaggio (contenuto) che fa il medium (forma), non il contrario.
Da ciò
probabilmente deriva quel determinismo, per così dire, della
forma-tecnica, che sembra caratterizzare il pur geniale pensiero di
McLuhan. Come qui ad esempio: «Ogni volta che vediamo uno schermo tv o
leggiamo un libro, stiamo assorbendo queste nostre estensioni nel nostro
sistema individuale e provando l’esperienza di automatica “chiusura” o
spostamento della percezione; non possiamo sfuggire a questo abbraccio perpetuo
delle nostre tecnologie quotidiane […]. Adottando in misura consistente tutte
queste tecnologia, inevitabilmente, ci leghiamo a loro come servo-meccanismo.
Così per utilizzarle, dobbiamo servirle come facciamo con gli dei. L’eschimese
è un servo-meccanismo del suo kayak, il cowboy del suo cavallo, il businessman
del suo orologio, il cibernetico - e presto, il mondo intero - del
suo computer. In altre parole, il bottino appartiene al vincitore» (p.
65).
Naturalmente,
al polo opposto ritroviamo il determinismo culturale di Oswald Spengler,
dove si riconduce sistematicamente ogni medium alla matrice
culturale del messaggio (la forma al contenuto). Senza dimenticare che lo
stesso pensiero di Gehlen mostra risvolti di tipo
sociologistico quando sembra difendere, e moralisticamente, la prevalenza
delle istituzioni (forma) sulla cultura degli individui
(contenuto).
Pertanto, come dire,
ogni pensatore, soprattutto se originale, ha la sua pena... Ragione
in più per leggere McLuhan, la cui originalità non può essere messa in dubbio.
Magari partendo proprio dalla ghiotta Intervista a Playboy.
Carlo Gambescia
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