Il libro della settimana: Pietro Di Muccio de Quattro, Il golpe bianco di Edgardo Sogno,
con una nota dell’editore, Liberilibri 2013, pp. 142, euro 15,00 - .
Siamo dinanzi a un libro
tutto italiano. Ecco la prima riflessione sorta, fin troppo
spontaneamente, dopo aver letto l'avvincente pamphlet scritto da
Pietro Di Muccio ( per ragioni di brevità, scusandoci,
"tagliamo" il pur elegante cognome), Il golpe bianco di Edgardo Sogno (Liberilibri). Per quale
ragione “tutto” italiano? Perché certe cose - dispiace
ammetterlo - possono accadere solo da noi. E purtroppo continuano a
succedere.
Per dirla fuori dai
denti, il clamoroso arresto di Edgardo Sogno, avvenuto a pochi settimane dalle elezioni politiche del 1976, e il suo proscioglimento nel settembre 1978, in piena "unità
nazionale", rappresentano l’archetipo del modus operandi,
devastante anche sotto il profilo mediatico, di certa magistratura
italiana. Non per nulla a mettere in prigione Sogno, classe
1915, antifascista, partigiano “bianco” e Medaglia d’Oro al Valor
Militare, accusandolo di presunte trame golpiste ( in concorso con
altre persone, tra le quali spiccava per fama Randolfo
Pacciardi), fu un giudice istruttore, Luciano Violante, poi
eletto deputato nelle liste del Pci, anno di grazia 1979. E
destinato a luminosa carriera politica. L’esatto contrario della sfortunata
sorte toccata a Sogno: da allora assurto nell’immaginario dei media, non solo
di sinistra, al rango di macchietta “controrivoluzionaria” (nella
migliore delle ipotesi), o di scherano della “reazione
fascista in agguato” (nella peggiore).
Inoltre,
Violante, come il Commendatore del “Don Giovanni” mozartiano,
continua ad aleggiare tra le pagine del pamphlet: ne è
il “convitato di pietra". Perché, in partenza, come spiegano
editore e autore, il libro doveva essere una riedizione del Golpe bianco, scritto da
Edgardo Sogno e pubblicato nel 1978 per le montanelliane ( o giù di
lì) Edizioni dello Scorpione. Ma, come scrive mestamente
l’editore, «nel timore che qualche riga d[i quel, ndr] libro potesse essere usata
a pretesto per accampare lesioni da parte delle persone criticate
da Sogno, ed in primis dall’ex giudice istruttore, abbiamo
rinunciato al progetto» (p. 9).
Cosa dire?
Intanto, che nei famigerati Anni Piombo, un piccolo editore
libertario, correva meno rischi di oggi. Non resta che piangere amarissime
lacrime sul destino della libertà di stampa in Italia. Che malinconia.
Tra l’altro,
Violante all’ invito dell’editore di fornire un contributo non ha dato
risposta, come si confà - e sia detto con il massimo rispetto
- a ogni buona statua parlante, che non può non
esigere il pentimento del Don Giovanni di turno. Ma
Edgardo Sogno è morto nel 2000. E - azzardiamo -
editore e autore, per fortuna viventi (e ci auguriamo molto a lungo)
di cosa dovevano o devono pentirsi? Di
pubblicare e scrivere buoni libri?
Insomma,
stringendo, il volume è un testo sul “ brutto guaio passato” da
Sogno, come si direbbe da Roma in giù. E vi sono raccolte, nell’ordine:
una tagliente nota editoriale,
l'agguerrita introduzione del Di Muccio alla
mancata riedizione del volume di Sogno, e (in appendice) due
sentenze: quella istruttoria di proscioglimento (Tribunale di Roma, 1978)
e quella del processo intentato da Sogno nei riguardi di Luciano Violante
per falsità ideologica in atto pubblico (Tribunale di Venezia, 1975),
conclusosi con il non luogo a procedere, «perché il fatto non costitui[va]
reato».
Il lettore potrà
scoprire da solo la fragilità del teorema di Violante, il primo di una
inquietante serie di castelli in aria: pindariche fortezze bastiani di serie B
che hanno intossicato - e intossicano - l’attività di una
magistratura NIMBY, rivolta a individuare cospirazioni sempre nel
giardino dell'avversario ideologico di turno e mai nel proprio… Un teorema,
come si evince, edificato sulle palafitte di collegamenti
politici, mai provati, tra Sogno, antifascista a tutto tondo, e la destra
neofascista. Una fragilità che viene messa in luce, e molto bene,
dalle due sentenze. In particolare dalla prima (quella romana). Mentre la
seconda (quella veneziana) resta utile per capire - certo, fra le righe
- in che cosa consistesse, quel che il Tribunale di Venezia,
respingendo la tesi della falsità ideologica sostenuta da Sogno, definì
l’ «eccesso di zelo» del giudice Violante.
Ripetiamo, al di là
della pur eccellente ricostruzione dei fatti, ciò che al contempo affanna
e consola è l’intuizione di un archetipo sociologico. E di che cosa? Come
accennato, del modus operandi di certa magistratura italiana NIMBY.
Ma lasciamo la parola a Pietro Di Muccio: «Qui troviamo in nuce tutti i caratteri
soggettivi e oggettivi del processo: l’uomo famoso “attenzionato” da un
magistrato allora sconosciuto che forma su di lui un fascicolo processuale
composto da voci giornalistiche; la Medaglia d’Oro al Valor Militare che conduce
una battaglia politica; la lettera mai ricevuta e mai vista da
Sogno[dove si accennava a una nascente e auspicabile coalizione di
tutti in gruppi di estrema destra, incluso Ordine Nuovo, ndr]; la perquisizione
domiciliare di Sogno disposta da Violante alla ricerca della fantomatica lettera;
il tentativo di addebitare a Sogno, secondo l’asserzione del decreto di
perquisizione, l’organizzazione di tutti i gruppi di estrema destra, tra i
quali Ordine Nuovo, dopo lo scioglimento di quest’ultimo; il processo di
Venezia a carico di Violante su denuncia di Sogno per falsità ideologica
in atto pubblico» (p. 41).
Che dire? Forse
basterebbe cambiare qualche nome per precipitare subito nella più
sconcertante attualità…
Infine, come
si nota acutamente, va ricordato che Sogno fu giudicato « penalmente
innocente non perché volesse o non volesse fare un “golpe bianco”, cioè
liberale, cioè anticomunista e antifascista, ma perché, nel modo in cui l’aveva
predisposto e a livello dei preparativi cui era giunto, il suo divisato
“strappo costituzionale” non costituiva affatto o non costituiva ancora
una condotta delittuosa, vale a dire un reato vero e proprio, bensì una lecita,
sebbene vigorosa e radicale, attività di opposizione, non cospirazione
politica. Niente di eversivo penalmente parlando» (p. 53). In buona sostanza,
Sogno lottava alla luce del sole ( scrivendo e organizzando seminari e
convegni) per l'istituzione di una repubblica presidenziale... Un
autentico tabù politico per la
Prima , per la
Seconda e forse pure per la Terza Repubblica...
Di qui, il
proscioglimento, perché il fatto non sussisteva. Per citare dalla
sentenza del giudice Francesco Amato, «manca […] la prova della congiura; resta
per Edgardo Sogno, il dissenso. Ma la Repubblica , che trae la
sua invincibile forza dall’esaltazione e dalla pratica dei principi
democratici, non criminalizza il dissenso, che anzi è esso stesso un aspetto
della legalità costituzionale”.
Concludendo, negli
anni Settanta, Edgardo Sogno nonostante tutto trovò un
giudice a Berlino. Oggi lo troverebbe ancora?
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento