Il libro della
settimana: Jerónimo Molina, Nada
en las manos, Los Papeles del Sitio 2013, pp. 160 .
Talvolta dispiace
non conoscere nelle sue più ricche sfumature una lingua straniera.
Per ragioni di lavoro si legge di tutto nei più diversi idiomi
in modo vorace... Fin quando ci si imbatte in un libro che
toglie il fiato, da cui separarsi è difficile,
perché si vorrebbe rileggerlo per apprezzarne, sciogliendoli, anche
i più sottili nodi linguistici.
Ecco la sensazione
provata, una volta letto e chiuso, Nada en las manos (Los
Papeles del Sitio), di Jerónimo Molina, professore di
Politica sociale presso l’Università di Murcia in Spagna, già noto agli amici
del blog. Parliamo di uno studioso del “realismo politico”, con una sua
precisa fisionomia, che merita grande attenzione. Ma anche di
un filone di studi e pensiero, cui di recente, proprio in Italia, è
stato dedicato un convegno( http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/06/IL-REALISMO-POLITICO-Perugia-17-18-19-ottobre-2013.pdf ).
Il piccolo, solo in
apparenza, volume di Molina rientra classicamente nell’ eccellente
tradizione del diario, anche epistolare, di viaggio intellettuale ( con
un modernissimo pendant,
se non sbagliamo, di tipo "blogghista"): la stessa antica e
severa tradizione, per intendersi, di Machiavelli,
Tocqueville, Pareto, Schmitt. Nomi che possono costituire i
gradini finali di una scala dorata verso le vette della scienza politica.
Un percorso, come dire, ascensionale e soprattutto "augurale", al
quale Molina, conoscendone l’umiltà, opporrà il più
disincantato dei suoi sorrisi.
Il titolo
coglie plasticamente lo sforzo sisifico di uno
scienziato politico assolutamente consapevole di asserire, al contempo,
troppo e troppo poco, soprattutto dinanzi all’infuocato divenire
delle cose umane. Perché cosciente, come si legge,
che la via del realismo politico - e qui Molina cita il nostro
Giuseppe Ferrari - è la via del dolore, o se si preferisce la via
dell’imperfezione. Detto altrimenti: di una scienza guardiana dei fatti,
che però si vede costretta a parlare a un mondo imperfetto, composto di esseri
che non ascoltano se non quello che ritengono più opportuno. Di
qui, sotto gli umanissimi colpi del caso e della necessità, il poco che
si fa troppo e il troppo che diviene poco, anche dall'alto di una cattedra
immacolata. Ciò spiega perché il realista è poco amato e peggio giudicato. Non
potrebbe essere diversamente: la verità dei fatti non è buona pagatrice, almeno
nel presente. Soprattutto quando si afferma, con Freund,
che il potere non è reazionario né rivoluzionario, ma
solo uguale a se stesso. E che di conseguenza il rivoluzionario può
trasformarsi in conservatore e il conservatore in rivoluzionario…
Ferrari, Freund,
Aron, Maritain, Schmitt, Simmel, Ortega sono solo alcuni fra i tanti pensatori
puntualmente evocati da Molina,, inclusi altri, numerosi, acutissimi
studiosi spagnoli, si pensi solo a Eugenio D’Ors, vero maestro della sintassi diaristica. In
qualche misura siamo davanti a una piccola enciclopedia ragionata capace
di proiettare benefici fasci di luce sull’aspro cammino del realismo politico:
da Kautyla e Tucidide a Dalmacio Negro e Günter Maschke.
Nada en las manos ruota intorno al triennio 2011-2103,
anni difficili per la Spagna e per il mondo intero. E vi sono
raccolti, senza mai perdere di vista la realtà, incontri, spunti
interpretativi, riflessioni, note di lettura e traduzione,
libri ritrovati, commemorazioni, aforismi e versi. Come nei
suggestivi giochi di piazza di un tempo, il lettore si
trova a osservare, e con partecipazione, un pensiero in equilibrio
tra i microeventi della vita familiare e i macroeventi della vita
sociale. Cade, non cade, cade? Non cade. Molina, da
perfetto equilibrista dello spirito, si tiene in piedi sulla
fune, posta tra le torri degli eventi privati e pubblici, grazie
ai contrappesi che puntellano i punti d’appoggio della sua asta. E così
si mette in salvo. Parliamo, fuor di metafora, delle costanti del
politico (o "metapolitiche”, come ci piace chiamarle): quel che si
ripete, con regolarità, nell’universo politico. Ecco i contrappesi
cognitivi della politica, anche la più burrascosa: senza i quali resta
difficilissimo abbassarne o alzarne il baricentro.
Pertanto Molina non
passeggia elegantemente tra le rovine come l’ultimo Schmitt, né si
compiace di osservare le efferatezze della politica come Pareto, né
celebra troppo gli antichi per opporli ai moderni come
Machiavelli, né infine certifica, pur di controvoglia, processi storici
dotati di forza propria, come Tocqueville.
La sua scienza
politica è scienza dei limiti e dei cicli, a un tempo antica,
moderna, postmoderna. Per quale ragione? Perché capace di
metabolizzare, in chiave atemporale, l’esperienza
politica alla luce del sic transit gloria mundi di cui sono imbevute le sue costanti.
Anche sul piano personale. E qui il cerchio si chiude.
Parliamo, insomma,
di uno studioso sobrio, che non
scrive (relativamente) molto, ma legge e pensa tantissimo. Cosicché, quando
prende la penna in mano, lascia sempre il segno. Grazie anche
alla qualità della scrittura che consente a Molina
di risalire, in poche dense battute, dal particolare (magari
privato) all’ universale ( sempre politico). E qui, come dicevano all’inizio,
il nostro dispiacere di non poter cogliere anche la più piccola sfumatura di
uno stile sinuoso che avvolge e accompagna il lettore, indicando sempre
il pro e il contro: la vitalità della lotta politica e la
caducità dell’esistenza; la forza del pensiero interpretante e la
fragilità degli esseri umani; la bellezza di uno sguardo fermo e disinteressato
sul mondo e il senso del tempo che passa e che tutto cancella, inesorabilmente.
Eccetto le costanti del politico...
Insomma, un
libro prezioso. Da tradurre subito.
Carlo Gambescia
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