Solo il "metodo Pompei" può
permettersi il lusso di rileggere "La Scuola di Atene"
partendo, diciamo così, dal basso (Archimede), per
poi risalire fino alle vette dell'affresco (
Platone e Aristotele)... Mentre di solito si fa il contrario. Per essere più
esatti, diciamo che l'amico Carlo Pompei si diverte a
rileggere la storia della filosofia politica e in particolare della
democrazia, puntando su una "prospettiva altra".
E che rileggendo... integra... Come
per l'appunto impone - e il circolo si chiude -
il " metodo Pompei". Buona lettura. (C.G.)
Democrazia o
Aristodemoarchia?
di Carlo Pompei
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«Ogni corpo immerso
in un liquido riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto di intensità
pari al peso del volume del liquido spostato» è il principio di galleggiamento
dei corpi scoperto e formulato da Archimede. Questi, originario di Siracusa,
visse in un periodo nel quale la Magna Grecia , dopo la morte di Alessandro Magno,
andava sgretolandosi dopo avere avuto nobilissimo passato e pur lasciando
splendide vestigia nel sud del Belpaese.
Ne “La Scuola di Atene”, il
celeberrimo affresco di Raffaello Sanzio, oltre ai canonici Aristotele e
Platone, scorgiamo nel gruppo in basso a destra, Archimede, raffigurato - anche
se vi è una diatriba con chi sostiene sia Euclide - accanto alle più grandi menti
dell’antica Grecia, ove nacque, tra le altre cose, la democrazia. Il suo
principale fautore – Pericle – però, viene definito, tuttora, da alcuni un
populista, un sostenitore della demagogia, ovvero l’esatto contrario di chi
dovrebbe attuare la democrazia non per il bene comune, ma per il proprio gruppo
di potere o aspirante tale. La disputa è più che mai accesa, e noi ci facciamo
una domanda: è veramente possibile evitare il baratro demagogico? Probabilmente
no. Vediamo che cosa ne pensavano due grandi menti dell’antichità…
La democrazia
periclea assunse un valore negativo già nell’accezione aristotelica.
Aristotele, infatti, pensava che il potere - e non il governo - del (o al)
popolo fosse una degenerazione del consenso di quanti erano riusciti a farsi eleggere.
Vi ricorda qualcosa? Andiamo avanti…
Egli distingueva sei
forme di “governo/potere”, tre cosiddette “pure”: monarchia, governo di uno su
tutti, re; aristocrazia, potere ai “migliori”; la politia (o repubblica) sorta
di governo misto, probabilmente il migliore, sempre però a rischio di
tramutarsi nello strapotere degli “eletti” per censo o in quello di tiranniche
maggioranze popolari. Tre invece le cosiddette forme corrotte, o deviazioni :
dispotismo, il re si fa imperatore e tiranno; oligarchia, i “migliori”
diventano peggiori e sono definiti “casta” o “élìte”; infine democrazia, il già
menzionato ed esclusivo “potere al popolo” che ricorda più uno slogan
sessantottino da sommossa di piazza che un governo stabile (Aristotele, Politica, Libri IV-V). A tal proposito - e sotto
tale luce - sarebbe bene riesaminare il prima e il dopo della Rivoluzione
francese. Ma lo faremo un’altra volta, la carne al fuoco è già troppa.
Proseguiamo, pur andando indietro nel tempo.
Platone distingueva
soltanto cinque forme. Dalla migliore alla peggiore: aristocrazia, timocrazia,
oligarchia, democrazia e tirannia come ultima conseguenza, non del delirio di
un monarca – peraltro non contemplato – come avrebbe sostenuto successivamente
Aristotele, ma dei comportamenti inevitabilmente demagogici del singolo o del
gruppo più importante tra gli eletti dal popolo ( Platone, La
Repubblica. Libri VIII-IX). In entrambi i casi la
democrazia – ora sulla bocca di tutti – non ne esce benissimo.
Come si può notare
l’anarchia non viene neanche presa in considerazione, essendo il frutto di una
reazione ad un potere o a un governo; trattandosi di “nongoverno” presuppone un
altissimo senso civico dei facenti parte di una ipotetica comunità, la quale
non sarebbe neanche più tale, poiché una comunità presuppone un… governo, una
guida. O un’autarchia? Buio sempre più buio se il nostro scopo è quello di
vivere e lavorare in una comunità di persone civili o “cittadini” (cives).
Siamo quindi nel
campo dell’utopia (un non luogo) o dell’esistenza esclusiva finalizzata a
combattere qualcosa o qualcuno.
Un esempio grave di
anarchia (leggi anche pigrizia politica) è stato dato da quasi tutta la
sinistra quando proponeva come unico proprio programma l’antiberlusconismo,
anziché proporre una valida alternativa. Un livellamento verso il basso secondo
il quale basterebbe dire “lui è peggiore di me” per essere “migliore” di lui.
Non è certo questa l’aristocrazia pensata 2400 anni fa. È vero che oggi ci sono
molti più parametri da considerare rispetto ad allora, ma, come ognuno potrà
facilmente intuire, quello che viene spacciato per pura democrazia è un mix
diabolico tra oligarchia e democrazia - in Italia - e monarchia e dispotismo -
nel resto del mondo. Che cosa ne penserebbero Platone e Aristotele della democrazia
degli USA esportata in Medio Oriente e Africa settentrionale? Meglio non
accennare un’ipotesi, non sarebbe pubblicabile, anche perché implicherebbe un
discorso legato alla visione del mondo da una prospettiva capitalistica
finalizzata esclusivamente al profitto.
La soluzione a tutto
questo potrebbe chiamarsi DEMOARCHIA, o, meglio, ARISTODEMOARCHIA, cioè governo
(e non potere) nelle mani di “migliori” eletti, sì, ma direttamente dal popolo
al massimo in due soli passaggi: il popolo elegge i propri rappresentanti di
voto e questi eleggono i (pochi) “migliori”. Schema concettuale che in qualche
misura rinvia alla politia aristotelica. Più modernamente, potremmo arrivare a
parlare di CCC (Camere Circolari Concentriche): nelle buone Repubbliche, via
via che ci si avvicina al centro, i posti a sedere, fisiologicamente diventano
sempre di meno e le poltrone scottano sempre di più. Una poltrona non può e non
deve essere comoda.
Si potrebbe
obiettare che potere e governo sono sempre andati di pari passo, ebbene è
proprio questo il guasto: una governante è la padrona di casa? No, è al
servizio della casa, ed è pagata, giustamente, per farlo. Non si siede sulla
poltrona, la spolvera.
I delegati,
deputati, senatori, migliori – chiamateli come volete – saranno realmente
responsabili (cioè ritenuti tali) del corretto funzionamento della cosa
pubblica. Per intenderci pagati il giusto per eseguire dei compiti, non pagati
molto (troppo) altrimenti potrebbero essere facilmente corrotti. Nella
corruzione non esiste un tetto massimo al prezzo oltre il quale non sia lecito
andare, ma, soprattutto, non esiste e mai esisterà il prezzo dell’etica.
L’aristocrazia, infatti, si misura con il metro della virtù morale
non con il conto in banca.
Non a caso le
piramidi egizie, maya, azteche, inca, sumere, assiro-babilonesi (ma anche la
metafora della Torre di Babele) sono simboli di grandi imperi, spesso
tirannici, dove un vertice insisteva (gravava) e veniva supportato da una base
sempre più larga e sempre più lontana da quel vertice che, in alcuni casi,
tuttora sorregge.A questo punto vi chiederete: “Ma Archimede che cosa c’entra
in tutto questo?”. Il suo enunciato ci serviva per andare in Grecia, ma può
essere facilmente parafrasato per descrivere l’attuale situazione
socio-politica italiana, alla luce dei nuovi scandali. Vediamo.
Ogni politico
immerso nei liquidi (soldi) riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto,
uguale per intensità al peso del volume di “affari” spostato.
Oppure.
Ogni cittadino
immerso in una liquidazione coatta riceve una spinta verticale dall’alto verso
il basso, uguale per intensità al peso della cartella esattoriale ricevuta.
Sostituite “spinta
verticale” con “galleggiamento”, nel primo caso, e con “sopravvivenza”, nel
secondo, ed otterrete la spiegazione di molti fatti più o meno recenti.
Carlo Pompei
Carlo Pompei,
classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né
scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica,
impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed…
ebanisteria “entry level”.
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