giovedì 25 ottobre 2012


Il libro della settimana: Fabrizio Battistelli, Maria Grazia Galantino, Livia Fay Lucianetti, Lorenzo Striuli, Opinioni sulla guerra. L’opinione pubblica italiana e internazionale di fronte all’uso della forza, pref. del Gen. D.CC. Eduardo Centore, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 190, euro 23,00 - 
http://www.francoangeli.it/


Durante la lettura di Opinioni sulla guerra (Franco Angeli) il nostro pensiero è andato a Machiavelli e Hobbes. Chissà, ci siamo chiesti, se tornassero tra noi, cosa direbbero di uno studio sociologico che, pur con tutte le giuste cautele della cultura liberaldemocratica e scientifica, si muove nell’alveo del moderno realismo politico, così  caro ai due padri fondatori.  Di sicuro, ci siamo risposti,    ne parlerebbero bene... E per quale ragione? Facile.   Perché il presupposto del libro è che la guerra, come strumento di regolazione, anche se in ultima istanza, dei rapporti internazionali, difficilmente potrà essere espunta dalla storia umana. Di qui, crediamo, la necessità, ben intravista dagli autori, di estendere lo studio della eventualità guerra  alle società civilizzate (o «postmoderne»), analizzando in particolare le relazioni tra guerra e opinione pubblica. Detto altrimenti: tra una costante politica, nel senso di Miglio ( o metapolitica, come ben sanno i nostri lettori) e una istituzione - l’opinione pubblica - che rinvia   allo  storicamente mutevole, ossia alle nostre società liberaldemocratiche.  Diciamo che il matrimonio euristico  tra ciò che è costante e ciò che è contingente è  perfettamente riuscito,   perché   il  volume è   ben organizzato, ricco di importanti materiali di riflessione da cui attingerebbero a piene mani  anche Machiavelli e Hobbes. Ma veniamo alla  sua struttura.
Alla vivida Prefazione del generale Centore, direttore del Centro Militare di Studi Strategici (CeMISS), nel cui quadro operativo si  colloca la ricerca, segue un Primo capitolo introduttivo: “Atteggiamenti, opinioni e uso della forza” (Fabrizio Battistelli). Dove sostanzialmente si enuclea un problema fondamentale. Quale? Quello del collegamento, ineludibile nelle società democratiche, tra uso della forza all'esterno e consenso interno dei cittadini. Tema poi sviluppato, in chiave storica, sociologica e concettuale, sempre da Battistelli nel Secondo capitolo (“I fattori sociali e le opinioni sulla guerra”): un' avvincente analisi   da cui  emergono due riflessioni interessanti: la prima, che nella società postmoderna, semplificando al massimo,  l’individuo-narciso, ripiegato sui propri crescenti desideri, finisce per scorgere, ambiguamente, nel conflitto bellico per un verso un limite esistenziale,  per l’altro un importante  strumento di difesa dello stile di vita; la seconda riflessione, è che tra le sei condizioni per la legittimazione della guerra, individuate da Battistelli, risultano particolarmente significative quelle riguardanti l'efficacia. ossia  la brevità del conflitto e  la minimizzazione delle perdite umane. Due fattori (microdurata e microperdite)  assolutamente in sintonia con i desideri profondi dell’individuo-narciso : guerra sì, ma breve e incruenta, per vie aeree e combattuta da specialisti e con tecnologie  all' avanguardia. Come è avvenuto, e brillantemente sul piano militare, in occasione della crisi libica del 2011 ( tra l’altro oggetto di uno "studio di caso" nel Quarto capitolo). Alla fin fine, si potrebbe anche  dire, piaccia o meno,  che  il male, ovvero la guerra,  per essere accettato dal cittadino-narciso debba  essere  banalizzato... O detto altrimenti:  reso  familiare e sicuro  e perfino  scontato nei suoi esiti di natura burocratica e  utilitaristica.
Nel Terzo capitolo si entra in argomento: “Americani, europei italiani: che cosa pensano dell’uso della forza” (Fabrizio Battistelli). I sondaggi sembrano confermare la nota tesi del «divario transatlantico», poi sviluppata da R.A. Kagan: che i cittadini statunitensi sono più bellicosi di quelli europei. Gli italiani in particolare sembrano in larga parte preferire la trattativa al conflitto, con percentuali non bulgare ma comunque elevate. Qui Battistelli,  da eccellente specialista di sociologia militare, riprende e  introduce una interessante distinzione tra minaccia, pericolo e rischio. Dietro la minaccia c’è l’intenzionalità umana, come nel caso di un attacco militare; alle spalle del pericolo c’è invece l’ «intenzionalità zero», come nel caso di un terremoto; il rischio, infine, si pone a metà strada, perché per un verso rinvia all’ intenzionalità umana, per l’altro agli esiti negativi o non voluti che possono sempre scaturire  dall' azione sociale intenzionale. E qui si pensi ad eventi come Chernobyl. Fukushima, ecc. Ora, sotto questo aspetto, se abbiamo capito bene, le indagini mostrano che dove gli americani scorgono una minaccia, gli europei sono portati a vedere un rischio (qualcosa a metà strada tra minaccia e pericolo). Di qui, le diverse modalità di reazione.
Nel Quarto e Quinto capitolo sono indagati “L’uso della forza secondo l’opinione pubblica di Italia, Francia, Svezia Regno Unito e Stati Uniti” (Livia Fay Lucianetti) e nei paesi “Bric,  Brasile Russia, India, Cina” (Lorenzo Striuli ). Il quadro generale dei due capitoli  racchiude conferme e sorprese. Da un lato è confermato, rispetto al Cowboy americano, il maggiore pacifismo di Svezia, Italia, e detto per inciso, Germania, anche se nel libro i nipotini  di Goethe  non sono oggetto  di  analisi particolare; più contenuto invece il pacifismo  di francesi e britannici dall’altro. Inoltre per cavarcela con una battuta, il fate l’amore e non fate la guerra, sembra avere maggiori simpatizzanti tra russi, brasiliani, indiani. Più sfumata e meno tranquillizzante la posizione dell’opinione pubblica cinese che sembra accettare - eventualità condivisa anche dagli analisti americani - la possibilità nei prossimi lustri di un conflitto sino-americano.
Chiude il volume l’ eccellente saggio di Maria Grazia Galantino “Sulle questioni di metodo nella ricerca sull’opinione pubblica”,  dove si dà spazio anche alla possibilità - da noi condivisa - di scorgere nell’uso dei sondaggio un importante strumento da  impiegare - magari senza esagerare -   nei processi di decisione e gestione della politica.  Infine,  va  ricordato  il ricchissimo apparato statistico che correda Opinioni sulla Guerra: al lettore il piacere di scoprirlo,  navigando  tra  tabelle   di grande chiarezza concettuale e  grafica.  
Un’ultima osservazione: è possibile condividere le conclusioni di Fabrizio Battistelli? Ovviamente, dobbiamo però  prima però riportarle:« Complessivamente - osserva lo studioso - pur caute nell’uso della forza, le opinioni pubbliche europee (compresa quella italiana) sono disposte ad accettare questa extrema ratio, quando è in gioco, a tacere della sopravvivenza della propria nazione, la tutela dei diritti umani». Ciò, continua Battistelli «dà vita a un processo di convergenza il quale, oltre che all’interno dei vari paesi europei, investe anche il rapporto con gli Stati Uniti, la cui opinione pubblica mostra atteggiamenti abbastanza simili. Sembrerebbe quindi che, all’inizio del secondo decennio del nostro secolo il “divario transatlantico”, sia largamente ricomposto».
Cosa aggiungere ? Che probabilmente il processo di convergenza sembra  legato non tanto (o comunque non solo) a ragioni interne, quanto a questioni esterne, vincolate, a loro volta, per dirla con Carl Schmitt,  al consolidarsi  o  all’emergere   di un  comune nemico.  E da qui a dieci-venti anni (se non prima),  Stati Uniti e  Unione Europea  potrebbero avere solo l'imbarazzo della scelta...  

Carlo Gambescia

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