Il Diciannovesimo resta
il secolo del mercato, mentre il Ventesimo quello dello stato. E il
Ventunesimo? Difficile dire, stando almeno a Giulio Napolitano
curatore di Uscire dalla crisi, l'interessante volume recensito
dall’amico Teodoro Klitsche de la
Grange (*). Il quale, a sua volta, sembra invece, e
giustamente, porre l’accento non tanto sulla quantità quanto sulla
qualità dell’intervento pubblico. Un interventismo, se così si può
definire, che dovrebbe richiamarsi a un solo
criterio: quello del poco e ogni tanto invece
del troppo e sempre. Buona lettura. (C.G.)
Il libro della settimana: Giulio Napolitano (a cura di),
Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali , il
Mulino, Bologna 2012, pp. 490, € 35,00 - (recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange )
http://www.mulino.it/ |
Questo volume raccoglie il contributo di vari autori (quasi
tutti giuristi amministrativisti) che analizzano l’impatto della crisi sul
ruolo dello Stato e delle istituzioni pubbliche in generale, Come scrive il
coordinatore del volume, Giulio Napolitano, «Ogni grande crisi, infatti, ha un
profondo impatto sul ruolo dello Stato e delle istituzioni pubbliche. Basti
pensare a quanto accadde con il crollo di Wall Street nel 1992. In tutti i paesi
occidentali, vi fu in pochi anni uno straordinario sviluppo dei sistemi
amministrativi». Istituzioni pubbliche e sistemi amministrativi «rimasti in
piedi per oltre cinquant’anni, e ridotti – o eliminati – dall’ondata liberista»
(la quale anche in Italia ha avuto qualche applicazione – spesso distorta). La
crisi del 2008 ha
«cambiato i paradigmi dominanti negli ultimi vent’anni». L’ampiezza di questa
ha costretto gli Stati a intervenire nuovamente nell’economia. Tuttavia la
scarsità delle risorse li ha obbligati a varare riforme «tese a ridurre
funzioni e costi degli apparati pubblici». In effetti, come scrive il
coordinatore, forse è un po’ presto per vederne i risultati, ma comunque,
aggiungiamo noi, è utile studiarne le tendenze – oltre al realizzato. Anche
perché, come sostiene Napolitano, le risposte alla crisi sono state normative,
cioè consistenti in cambiamento di regole piuttosto che in trasformazioni (o
innovazioni) istituzionali. Così per nove capitoli sono valutati e
approfonditi, a tutti i livelli (nazionale, europeo, mondiale) e per i diversi
aspetti (finanziario, economico, assistenziale, previdenziale) le innovazioni
messe in opera per uscire dalla situazione critica. Napolitano nel capitolo
conclusivo scrive: «Si conferma così, ancora una volta, che le grandi crisi
sottopongono a una notevole tensione il sistema dei pubblici poteri,
determinando ora semplici fenomeni adattivi, ora complessi meccanismi di
reazione, ora organici disegni di riforma. I cambiamenti istituzionali oggi in
atto investono sia le frontiere esterne dello Stato sia le sue dinamiche
interne, modificando i “termini” del patto costituzionale e gli istituti del
diritto amministrativo. In ambito sopranazionale, si affermano nuove forme di
cooperazione e mutano gli equilibri tra Unione europea e Stati membri. In sede
nazionale, sono ridefiniti i rapporti tra governi e parlamenti e quelli tra
organi elettivi e apparati tecnici. I confini tra settore pubblico e settore
privato registrano continui avanzamenti e arretramenti». Tutti questi
cambiamenti sono tuttavia ben poca cosa rispetto alle capacità innovative della
crisi del ’29, che regalò al pianeta – tra l’altro - l’abolizione della
repubblica di Weimar e il potere allo NSDAP passato, tra il ’28 e luglio ’32
dal 2% al 37% dei suffragi (e di conseguenza la seconda guerra mondiale,).
Rispetto a quella, le innovazioni istituzionali causate
dalla crisi in corso appaiono poca cosa, ma comunque rilevante. Nota il
curatore che «Oggi nella gestione a breve termine della crisi finanziaria, il
potere esecutivo ha assunto un ruolo preminente in ogni paese, sollevando non
pochi problemi in ordine alla possibile alterazione di delicati squilibri
costituzionali, La maggior parte delle decisioni relative al salvataggio di
istituzioni finanziarie è stata presa in pochi giorni dai governi per far
fronte all’emergenza ed evitare effetti di contagio. Ben presto, però, si è
resa necessaria l’approvazione di specifici atti legislativi»: il che significa
– e conferma – che «l’emergenza» (anche quella) economico-sociale non è
gestibile con i mezzi e le procedure ordinarie. Inoltre «Lo scoppio della crisi
del debito sovrano ha ulteriormente modificato i rapporti tra organi elettivi e
autorità tecniche. Sulle banche centrali si è scaricata una forte richiesta
politica per interventi di politica monetaria che consentissero di allentare la
presa della speculazione finanziaria sui titoli pubblici»; altre modifiche sono
avvenute nei rapporti tra «interno» ed «estero» (nonché pubblico e privato). Le
conclusioni sulle prospettive future che ne trae il curatore sono dubbie:
mentre la crisi del ’29 si tradusse in una maggiore presenza dello Stato
nell’economia, secondo Napolitano non è dato prevedere quale sia – sotto tale
profilo – l’esito di questa.
In altre parole ci si pone come previsione di mutamenti la
stessa domanda che, mezzo secolo fa, si poneva, in termini di valutazione,
Ernst Forsthoff: abbiamo troppo o troppo poco Stato? Cui il giurista tedesco
rispondeva che «abbiamo troppo e troppo poco Stato, sempre nel punto
sbagliato».
In relazione a tale giudizio se l’intensità della crisi per
l’Italia (e non solo) è stata probabilmente amplificata dall’avere troppo Stato
dove ne bastava meno e troppo poco dove sarebbe stato necessario ve ne fosse di
più, non sembra che la crisi, e il modo com’è stata affrontata, consentirà di
risolvere il problema, le cui radici non sono solo economiche e congiunturali.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica“Behemoth" ( http://www.behemoth.it/
). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi
(1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno
dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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