giovedì 18 ottobre 2012

Il libro della settimana: Gianfranco Miglio, Discorsi parlamentari, presentazione di Renato Schifani, con saggi di Claudio Bonvecchio e Davide G. Bianchi, Senato della Repubblica - Archivio Storico, il Mulino, Bologna 2012, pp. 310 -  

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Un altro titolo ( o sottotitolo) della bellissima raccolta dei Discorsi parlamentari (il Mulino) di Gianfranco Miglio, potrebbe essere il pirandelliano, ma meno affollato, Due personaggi in cerca d’autore. Il primo personaggio non può non essere il pirotecnico Gianfranco Miglio, il secondo, lo spento  parlamentare medio.  E l’autore? Le riforme istituzionali, caldeggiate con fine cultura politologica da Miglio e temute dai nostri, spesso politologicamente incolti, senatori e deputati.  "Autore", perciò, mai più trovato dall’uno come dagli altri. Sono infatti trascorsi  venti anni  dall'ingresso  di  Miglio in  Senato  e  undici dalla sua morte e ancora si discute di modelli costituzionali di tipo  francese, tedesco, misto. Roba, se ci si passa la caduta di stile, da comiche finali.
Quel che colpisce, solo scorrendo l’indice della  raccolta, regalmente  introdotta e curata da Claudio Bonvecchio e Davide G. Bianchi (autore quest'ultimo anche  dell'eccellente bibliografia di e su) , è come la quantità - non la qualità ovviamente - degli interventi diminuisca nel tempo: massima nel periodo 1992-1995, minima tra il 1996 e il 1998. Evidentemente, il vecchio leone si era a poco a poco convinto  di  parlare al vento.  Perciò,  sotto il  profilo, come dire, della  crescente disillusione che colpisce al cuore i professori  discesi in politica ,  il volume è addirittura  esemplare.  Perché la decrescita delle pagine  evidenzia visivamente,  al di là degli eccellenti  contenuti politologici (del resto già noti ai frequentatori dell'opera di Miglio),  la distanza concettuale, per dirla weberianamente, tra chi vive di politica, chi vive per la politica e chi, ecco il punto,  invece,   la studia.  Ci spieghiamo meglio.
Lo studioso di professione è temuto dai primi (chi vive di politica), perché tende a impegnarsi:  di regola, il professore, una volta eletto,   il parlamentare vuole  farlo sul serio, insomma ci crede. Ma non piace neppure ai secondi (chi vive per la politica), perché in genere chi studia di mestiere vede le cose dall'alto e quindi   tende al relativismo storico, rifiutando di vivere all'insegna dell'univoco tutto è politica. Il che prova,  perché Miglio, per l'appunto  studioso preparatissimo, a poco a poco sia  stato messo nell’angolo. Al fondo, del suo  progressivo isolamento  in Senato, c’è,  insomma,  una questione antropologica (di antropologia culturale s'intende):  la “razza” dei professori ( e qui si pensi al destino degli inascoltati professori berlusconiani)  sembra  totalmente  incompatibile con la “razza” dei politici.  I "somari" - ed è questo il profondo senso sociologico del Capitolo Ventisettesimo delle Avventure di Pinocchio -  picchiano il burattino, decisosi  finalmente a mettersi sotto,  perché  non vogliono che  gli scolari che studiano facciano scomparire quelli che non hanno voglia di studiare:  « Anche noi abbiamo il nostro amor proprio!...». Così risponde a Pinocchio il più somaro di tutti... La verità è sempre disarmante.
E se fosse una questione di linguaggio?  I professori parlano difficile, si dice, e perciò vengono accantonati.   In realtà, come giustamente osserva Bonvecchio, «il linguaggio (…) che Miglio utilizza nei suoi discorsi» è totalmente privo di «saccenterie professorali» e immune «da sfoggio accademico di erudizione ». Miglio «si attiene sempre, strettamente, all’argomento sui cui interviene o su cui riferisce», evitando, «di annoiare l’uditorio con lunghi incisi, dotte citazioni, luoghi comuni, paragoni storici e frasi roboanti e ad effetto». Miglio  si  ispira  «quasi sempre a uno schema espositivo semplicissimo, ma esemplare per chiarezza e concisione».  Insomma,  è veramente fonte di malinconia, scoprire, come ai taglienti discorsi di Miglio  si risponda o con stupide battute  frutto di pregiudizio politico  o  con applausi  partigiani.  Evidentemente, non c’è sordo peggiore di colui non vuol sentire.

Concludendo, un volume interessante, dottamente  delineato (tra l’altro non comuni, addirittura spiazzanti, l’ impegno e la dottrina profusi dal Presidente Schifani nella presentazione), ma come dicevamo triste testimonianza, purtroppo, della distanza che continua a separare (ma può essere altrimenti?) la politica dalla cultura politologica,  soprattutto se di altissimo livello  come quella di Gianfranco Miglio.

Carlo Gambescia

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