Il libro della settimana: Gianfranco Miglio, Discorsi
parlamentari, presentazione di Renato Schifani, con saggi di Claudio Bonvecchio
e Davide G. Bianchi, Senato della Repubblica - Archivio Storico, il Mulino,
Bologna 2012, pp. 310 -
Un altro titolo ( o sottotitolo) della bellissima raccolta
dei Discorsi parlamentari (il Mulino) di Gianfranco Miglio, potrebbe essere il
pirandelliano, ma meno affollato, Due personaggi in cerca d’autore. Il primo
personaggio non può non essere il pirotecnico Gianfranco Miglio, il secondo, lo
spento parlamentare medio. E l’autore? Le riforme
istituzionali, caldeggiate con fine cultura politologica da Miglio e temute dai
nostri, spesso politologicamente incolti, senatori e deputati.
"Autore", perciò, mai più trovato dall’uno come dagli altri. Sono
infatti trascorsi venti anni dall'ingresso di Miglio
in Senato e undici dalla sua morte e ancora si discute
di modelli costituzionali di tipo francese, tedesco, misto. Roba, se
ci si passa la caduta di stile, da comiche finali.
Quel che colpisce, solo scorrendo l’indice della
raccolta, regalmente introdotta e curata da Claudio Bonvecchio e
Davide G. Bianchi (autore quest'ultimo anche dell'eccellente
bibliografia di e su) , è come la quantità - non la qualità ovviamente -
degli interventi diminuisca nel tempo: massima nel periodo 1992-1995, minima
tra il 1996 e il 1998. Evidentemente, il vecchio leone si era a poco a poco
convinto di parlare al vento. Perciò, sotto
il profilo, come dire, della crescente disillusione che
colpisce al cuore i professori discesi in politica , il
volume è addirittura esemplare. Perché la decrescita
delle pagine evidenzia visivamente, al di là degli eccellenti
contenuti politologici (del resto già noti ai frequentatori
dell'opera di Miglio), la distanza concettuale, per dirla weberianamente,
tra chi vive di politica, chi vive per la politica e chi, ecco il punto,
invece, la studia. Ci spieghiamo meglio.
Lo studioso di professione è temuto dai primi (chi vive di politica), perché
tende a impegnarsi: di regola, il professore, una volta eletto,
il parlamentare vuole farlo sul serio, insomma
ci crede. Ma non piace neppure ai secondi (chi vive per la politica),
perché in genere chi studia di mestiere vede le cose dall'alto e
quindi tende al relativismo storico, rifiutando di vivere
all'insegna dell'univoco tutto è politica. Il che prova, perché
Miglio, per l'appunto studioso preparatissimo, a poco a poco sia
stato messo nell’angolo. Al fondo, del suo progressivo
isolamento in Senato, c’è, insomma, una questione
antropologica (di antropologia culturale s'intende): la “razza” dei
professori ( e qui si pensi al destino degli inascoltati professori
berlusconiani) sembra totalmente incompatibile con la
“razza” dei politici. I "somari" - ed è questo il
profondo senso sociologico del Capitolo Ventisettesimo delle
Avventure di Pinocchio - picchiano il burattino, decisosi
finalmente a mettersi sotto, perché non vogliono che gli
scolari che studiano facciano scomparire quelli che non hanno voglia di
studiare: « Anche noi abbiamo il nostro amor proprio!...». Così risponde
a Pinocchio il più somaro di tutti... La verità è sempre disarmante.
E se fosse una questione di linguaggio? I professori parlano
difficile, si dice, e perciò vengono accantonati. In realtà,
come giustamente osserva Bonvecchio, «il linguaggio (…) che Miglio utilizza nei
suoi discorsi» è totalmente privo di «saccenterie professorali» e immune «da
sfoggio accademico di erudizione ». Miglio «si attiene sempre, strettamente,
all’argomento sui cui interviene o su cui riferisce», evitando, «di annoiare
l’uditorio con lunghi incisi, dotte citazioni, luoghi comuni, paragoni storici
e frasi roboanti e ad effetto». Miglio si ispira «quasi
sempre a uno schema espositivo semplicissimo, ma esemplare per chiarezza e
concisione». Insomma, è veramente fonte di malinconia, scoprire,
come ai taglienti discorsi di Miglio si risponda o con stupide
battute frutto di pregiudizio politico o con
applausi partigiani. Evidentemente, non c’è sordo peggiore di
colui non vuol sentire.
Concludendo, un volume interessante, dottamente
delineato (tra l’altro non comuni, addirittura spiazzanti, l’ impegno e la
dottrina profusi dal Presidente Schifani nella presentazione), ma come dicevamo
triste testimonianza, purtroppo, della distanza che continua a separare (ma può
essere altrimenti?) la politica dalla cultura politologica, soprattutto
se di altissimo livello come quella di Gianfranco Miglio.
Carlo Gambescia
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