Il libro della settimana. Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo, Editori Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 376, Eruo, 24,00
http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842077176 |
Che cos' è il liberalismo? Non è facile rispondere. In
molti si sono cimentati, e da buon ultimo Domenico Losurdo, storico della
filosofia, autore profilico, del quale va ricordato un importante e originale
studio su Nietzsche (Bollati Boringhieri 2004, 2° edizione).
Anche questa volta Losurdo ha scritto un libro non
comune: una "controstoria del liberalismo" che va dalle origini
seicentesche alla prima guerra mondiale. Si tratta - e in ciò è l'originalità
dell'approccio, ma anche il suo preciso limite - di un storia del liberalismo
basata, a giudizio dell'autore, sul contraddittorio rapporto tra la teoria e la
pratica liberali.
Come si può, si chiede Losurdo, riferendosi al
colonialismo inglese e all'imperialismo americano (le due potenze
"liberali per eccellenza) conciliare libertà e schiavitù? Lo si può, ma
solo a prezzo, ecco la sua tesi, di privilegiare due spazi politici: quello
sacro, riservato alla comunità dei liberi ( i "signori", i
"bianchi" gli unici in grado di capire, gestire ed apprezzare la
"libertà" in tutte le sue forme); e quello profano, riservato alla
comunità dei "non liberi (i "servi", gli schiavi
"neri", i "pellerossa", i messicani, i popoli coloniali,
incapaci "razzialmente" di autogovernarsi). In certo senso, anche se
l'autore non lo ammette direttamente, le guerre "liberali" americane
di oggi, non sarebbero altro che una rivendicazione di quello "spazio
sacro" che riunisce e santifica i popoli liberali dell'Occidente, gli
unici, appunto, in grado di apprezzare, e mettere a frutto la "libertà
liberale".
L'intero libro è costruito sulla ricerca, come dire,
delle "pezze d'appoggio" storiografiche per comprovare questa tesi. E
Losurdo, è così bravo ed erudito, che riesce a individuare in ogni autore
liberale, grosso modo, da Locke a Hayek il passo o la citazione "giusta".
Ma purtroppo, da questo tour de force erudito, emerge
anche quello che è il limite del libro . Infatti l'accento, troppo stretto,
posto sul rapporto teoria-pratica, se per un verso gratifica il lettore di
"palato grosso", quello che ama sentire parlar male del liberalismo,
per l'altro scontenta il lettore più attento, quello che, anche se non apprezza
il liberalismo, ama le ricostruzioni teoriche e storiche accurate.
Il limite evidente del testo è appunto di non delimitare
prima teoricamente e storicamente il liberalismo, tracciandone poi un ritratto
fedele e completo, ma di usare, "parti" della sua teoria e storia
(che possono essere benissimo contestate, basta sfogliare qualsiasi altra
storia del liberalismo a partire da quella classica e insuperata di Guido De
Ruggiero...), collegandole a una "certa"pratica liberale che
"deve" comprovare la tesi che si vuole dimostrare . Ignorando però (e
non importa se consapevolmente o meno), che spesso storicamente le idee non
trovano gli uomini "giusti" sulle quali camminare, o ne trovano solo
pochi... Una constatazione che lo storico deve sempre fare, se non vuole
ricadere nella partigianeria.
Un solo esempio, conclusivo: che senso avrebbe
scrivere una storia del marxismo, (cosa che tra l'altro è già stata fatta da
Leszek Kolakowski) estrapolando passi da Marx, Engels, Lenin e altri autori
minori per spiegare gli orrori di Stalin e la costitutiva pericolosità
dell'ideologia marxista? Nessuno. E lo stesso dovrebbe valere per il
liberalismo, come per altre ideologie. O no?
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