giovedì 5 gennaio 2006

Profili/7
Vilfredo Pareto





Suggerire una rilettura di Vilfredo Pareto (1848-1923) non è facile. Per tre ragioni.
In primo luogo, per l'ampiezza dell'opera e soprattutto per la necessità di distinguere tra l'economista e il sociologo. Due aspetti interessanti e complementari della sua opera, ma che richiedono da parte del lettore, o comunque dell'interprete, vaste conoscenze.
In secondo luogo, la sua opera, proprio per l'ampiezza, è priva di organicità, e quindi non è facile indicare da quale libro iniziare a rileggere o leggere per la prima volta Pareto.
In terzo luogo, perché su Pareto, ma oggi probabilmente meno che passato, continua a pesare l'accusa di essere un conservatore, se non proprio un reazionario, sostenitore dell'uso della forza in politica e dunque "cattivo maestro" di crudeli dittatori.
Alla prima questione si può rispondere consigliando di leggere il sociologo. Pareto sosteneva, già un secolo fa, che l'economia ( o il solo homo oeconomicus) da sola non era sufficiente per studiare e capire il perché delle azioni umane. Di qui la necessità, come prova la sua opera, di fondare una "sociologia", che a differenza dell'economia si sforzasse di spiegare anche i comportamenti "irrazionali" dell'uomo. E' inutile sottolineare, alla luce delle "battaglie" antiutilitaristiche di oggi, l'importanza e l'attualità di questo approccio.
Alla seconda questione si può replicare consigliando di partire proprio dalla preziosa raccolta di Scritti sociologici, curata da Giovanni Busino (il massimo studioso vivente di Pareto), Utet, Torino 1966 (www.utet.com/). Dove sono raccolti testi metodologici e teorici (soprattutto articoli), di grande interesse, e veri e propri gioielli politologici e sociologici, ricchi di osservazioni profondissime, come Fatti e teorie (1920), Trasformazione della democrazia (1921) e il gustosissimo Il mito virtuista e la letteratura immorale (1914), testo in cui Pareto fustiga, spesso ridendo, e in certo senso mettendosi sulla scia di Freud, quel finto moralismo di tanti ipocriti castigatori dei costumi, che invece nasconde "altre" inconfessabili, "pulsioni".
Alla terza questione non è facile rispondere in modo netto, dal momento che Pareto, come pensatore realista, ha sempre ammesso che la politica, non è solo dibattito, ma anche contrasto, decisione  e uso della forza. Di qui,  il fascino da lui esercitato su quei movimenti politici che in un'epoca di gravissimi conflitti sociali, economici e militari, come quella apertasi dopo la prima guerra mondiale, avrebbero però ridotto la politica, a differenza  di  quanto sosteneva il pluralista Pareto, al  solo esercizio della violenza fisica. 
Comunque sia, Pareto morì il 19 agosto 1923, in tempo per rifiutare di sottomettere al Senato quei documenti a lui richiesti per la convalidazione della nomina a Senatore del Regno, voluta da Mussolini, appena giunto al potere. Ma sul pensiero politico di Pareto, che sostanzialmente era un liberale conservatore, si consiglia di leggere i due volumi di Scritti politici (1872-1923), curati da Busino (Utet 1974). A Giovanni Busino si deve anche l'edizione delle Opere complete di Vilfredo Pareto, il lingua francese, (Libraire Droz, Genève 1964, in corso di pubblicazione - www.droz.org).

Buona lettura ai "coraggiosi". In tutti i sensi.

Carlo Gambescia

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