lunedì 23 gennaio 2006


Sfide e pericoli
Sindacato responsabile?



Il tono di freddezza, o peggio seccato, da parte di politici, media, e in molti casi della stessa gente comune, che ha segnato la vertenza dei metalmeccanici e sta caratterizzando quella dei lavoratori dell'Alitalia merita un'attenta riflessione. Per quale ragione? Perché indica purtroppo che i tempi sono ormai maturi per un decisivo cambiamento, e in peggio, delle normative che regolano relazioni sindacali e contrattuali.
Si tratta di un processo di "revisione" iniziato negli anni Ottanta del Novecento, e portato avanti, per un verso dalle cosiddette rivoluzioni neoliberiste, e per l'altro dalla crescente apertura dei mercati e dalle conseguenti delocalizzazioni economiche e industriali. Questo processo può essere ricondotto nell'alveo di un preciso processo sociologico: quello di una crescente "individualizzazione" del contratto di lavoro, che punta a rendere inutile o vana ogni forma di mediazione e associazionismo sindacale, o se si preferisce di "collettivizzazione" giuridica e istituzionale del lavoro.
E' come se il ciclo capitalistico, dal punto di vista dei rapporti tra capitale e lavoro, stesse di fatto ritornando ai suoi inizi, tra Sette e Ottocento, quando la tutela del lavoratore era praticamente inesistente, o affidata alle (scarse) capacità dei singoli, di "difendersi" da soli. La nascita del sindacalismo, e del diritto contrattuale collettivo del lavoro, ha rappresentato (e rappresenta) una forma di autodifesa sociale dalle pretese aggressive di mercato e capitale. Di conseguenza puntare sull'individualizzazione significa fare un passo indietro.

Sulla grande stampa, anche di centrosinistra, si inizia col criticare il diritto di sciopero, definendo irresponsabile l'opera dei sindacato, e si finisce col giudicarla controproducente, dal momento che, secondo le imprese, punterebbe solo sull'istinto gregario, ed egoistico, dei propri iscritti ( e quello dei "padroni", come si chiamavano una volta, dove è finito?). Insomma, il sindacato buono è il sindacato "responsabile": che dice sempre di sì e non proclama mai sciopero . Di qui il diritto di libertà "dal sindacato", che viene contrabbandato dai media, e non solo di destra, come un'istanza di libertà: il libero diritto di ogni singolo lavoratore ad "autogestirsi". Ma la cosa sospetta, è che sono le stesse organizzazioni dei datori d lavori, attraverso i propri giornali, a parlare in nome dei lavoratori... E in questo senso ci sarebbe un associazionismo buono (quello "padronale") e un associazionismo cattivo (quello sindacale): il vero obiettivo è invece l'eliminazione di ogni forma di contrattazione collettiva e di difesa giuridica del lavoro. O comunque di riproporre uno schema di relazioni lavorative da Prima Rivoluzione Industriale: da un lato lo strapotere dei datori di lavoro e dall'altro l'estrema debolezza dei singoli lavoratori non associati.
Negli ultimi quindici anni, e non solo in Italia, si sono introdotte leggi, che vanno in tale direzione (basti pensare alla normativa sul lavoro flessibile), e proprio in questi giorni, sfruttando le vertenze sindacali in atto si torna chiedere, con tono prepotente, da parte delle associazioni imprenditoriali,un ulteriore passo in avanti verso la privatizzazione dei rapporti di lavoro: contratti locali, aziendali, individuali, previdenza e assistenza personalizzate, premi di produzione ad personam, e (in seguito, di sicuro) divieto di scioperare e di svolgere attività sindacale.
Sarebbe perciò meglio che chi critica gli scioperi, e di riflesso il ruolo del sindacato riflettesse prima sull'intera questione e sui rischi di gettare con l'acqua sporca (certi eccessi sindacali) il bambino (la tutela collettiva dei diritti). O no? 

Carlo Gambescia

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