Un (quasi) elogio di Marx
Geminello Alvi è probabilmente il solo economista di
genio che oggi si abbia in Italia. E lo rimane comunque, pur occupandosi di
tante altre cose che con l'economia non hanno nulla a che fare. Sarebbe però
bello vederlo all'opera come direttore di un centro di ricerche economiche, o
addirittura come ministro dell'economia di un governo, per ora impossibile,
capace di conciliare, come lui scrive da anni, cultura ed economia, dono e
persona, comunità e politica.
E' nota la idiosincrasia di Alvi per certa sinistra
salottiera, scroccona e affarista, come per certa destra che ama nascondersi
all'ombra dei potentati economici. E quindi, è anche chiara, la sua volontà di
tenersi lontano, e giustamente dalla politica politicante. Tuttavia, almeno
fino alla severissima recensione apparsa ieri sul "Corriere della
Sera" del libro della Rossanda, meno noto era il motivo del suo rifiuto,
"al primo anno di università", delle "battaglie malintese"
dell'estrema sinistra: "gli imbrogli delle teorie del valore di
Marx".
Ora, ridurre il pensiero di Marx, alla teoria del valore,
certo discutibile, e farne poi motivo di un rifiuto politico, che può essere
fatto risalire anche ad altre e più personali ragioni (antipatia, realismo,
timore delle burocrazie, amore della libertà, eccetera), è sicuramente
sbrigativo. Va anche detto che, come affiora in molti dei suoi libri,
soprattutto in quelli di economia, Alvi da "adulto" giustifica la sua
critica a Marx, sulla base dell'economicismo che ne vizierebbe l'opera.
Cosa indubbiamente vera. Ma, come hanno mostrato in
molti, e da ultimo Costanzo Preve e con grande chiarezza, l'economicismo, come
lo scientismo e l'evoluzionismo marxiani, sono sedimenti di quella che era la
cultura del suo tempo. Se si scava e si va più in profondità, ma si deve
leggere "tutto" Marx, e non solo l' "economista", si scopre
un altro "pianeta" Marx, più complesso e ricco di intuizioni.
Sotto questo aspetto la teoria del valore-lavoro che
Marx, riprende da Ricardo e dai classici inglesi, rinvia sempre a una visione
totale della società (non totalitaria), in cui il lavoro non è che una delle
attività che possono essere svolte dall'uomo. E' inutile qui ripeterlo, ma per
Marx la teoria del valore-lavoro, può essere valida solo all'interno della
società capitalistica, che non è che un forma storica, tra le tante possibili:
per Marx l'uomo è tante cose insieme... L'ente naturale generico, cui fa riferimento
Preve nei suoi libri su Marx.
E in questo senso Marx è un pensatore olista (non nel
senso negativo di Popper, che comunque è andato molto vicino a risolvere il
"mistero" Marx , ma rivolgendo la scoperta dell'olismo marxiano, in
negativo, contro Marx stesso), e come tale va studiato e compreso.
Del resto qual è l'alternativa che la teoria economica
liberale, sulla quale lo stesso Alvi è molto critico, offre agli studiosi, e
per ricaduta, agli "attivisti politici" di segno opposto? La teoria
pura e semplice di un homo oeconomicus, calcolatore o misuratore dei propri
bisogni, ripiegato egoisticamente su se stesso. Una posizione teorica che sul
piano delle applicazioni pratiche provoca gli stessi disastri, causati in
passato dagli ottusi esecutori russi e cinesi, quando tentarono di applicare
rigidamente la teoria del valore-lavoro di Marx, sorvolando su
tutti gli altri aspetti del suo pensiero.
Il punto è che serve, come Alvi ben sa, una nuova teoria
del valore, olistica, che sappia recepire i vari apporti, liberali e marxiani,
ma anche di altre scuole, nell'alveo di una visione totale, completa, olistica
dell'uomo.
Come quella che ispirò Marx.
Carlo Gambescia
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