Profili/9
Richard Morris Titmuss
Richard Morris Titmuss (1907-1973) è il classico studioso
purtroppo noto solo agli "addetti ai lavori", e che invece merita di
essere letto da un pubblico più ampio. Inglese, del Bedfordshire, origini
modeste, a quindici anni si ritrova capofamiglia, costretto ad abbandonare gli
studi. Non conseguirà mai alcun titolo accademico. Negli anni Trenta, tuttavia,
i suoi interessi sociali, e la conoscenza da vicino dei fasti e delle miserie
dell' economia capitalistica (Titmuss lavorava a quel tempo presso una grande
compagnia di gestione di fondi assicurativi privati ), lo spingeranno a
studiare, da autodidatta, i grandi problemi sociali. Un libro in particolare, Problems
of Social Policy (1950), gli varrà la chiamata alla London School of
Economics, fortemente voluta da R.H.Tawney, autore di memorabili studi sulle
origini del capitalismo e sulla "società acquisitiva". Titmuss
insegnerà alla LSE fino all'anno della sua morte.
Seguiranno libri come Essays on the "Welfare
State" (1958), tradotto in italia dalle Edizioni Lavoro con un'ampia
introduzione di Massimo Paci (www.edizionilavoro.it),
Choice and the Welfare State (1967), Commitment to Welfare State
(1968), Income Distribution and Social Change (1970), e
l'importantissmo The Gift Relationship from Human Blood to Social Policy
(1970, ripubblicato nel 1997 da The New Press <www.thenewpress> a cura di A. Oakley e J.
Ashton, con a corredo, saggi che commentano e aggiornano le tesi di Titmuss).
Tuttavia, sarebbe riduttivo definirlo il classico
studioso di politiche sociali, "fabiano" e vicino al partito
laburista, con forti inclinazioni "stataliste". Titmuss,
indubbiamente, non sottovaluta il ruolo dello Stato nelle politiche sociali, ma
alla base di queste pone sempre quella solidarietà spontanea che distingue ogni
gruppo umano. Se una società teorizza il conflitto e la competizione economica
e l'utilitarismo, come valori fondanti, anche il "welfare" non potrà
non essere conflittuale, competitivo e utilitaristico. Lo stato deve perciò
rispettare le solidarietà naturali (familiari, locali, professionali), e
favorirne lo sviluppo come "serbatoio di altruismo e di valori", pur
garantendo, soprattutto attraverso lo strumento fiscale-redistributivo e
l'onestà e l'impegno dei suoi funzionari, un quadro minimo di eguaglianza
sociale e di pari opportunità per tutti. Welfare e solidarietà "dal
basso" devono procedere di pari passo. Un equilibrio, certo, non sempre
facile da raggiungere.
In The Gift Relationship, con un ricchezza di
dati ancora oggi soprendente, Titmuss prova come il sistema delle donazioni di
sangue (privatistico e commerciale in America; regolato dallo stato, ma su basi
volontaristiche e altruistiche nel Regno Unito) "divida" gli uomini
negli Stati Uniti e invece li unisca in Gran Bretagna. Messa così, la tesi può
sembrare banale, ma Titmuss, la suffraga ricostruendo nei minimi dettagli
sociologici, quella che forse è la forma di dono più autentica: il dono della
vita attraverso la trasmissione del sangue (anche in tempi, come questi, in cui
infuria l' AIDS; si legga nell'edizione del 1997, il bel saggio in argomento di
V. Berridige, pp. 15-40). Un libro insomma, che chiunque studi il fenomeno del
dono, deve leggere.
Su Titmuss si veda in particolare, soprattutto per gli
aspetti teorici del suo pensiero, il recente volume a cura di P. Alcock, H.
Glennerster, A. Oakley, A. Sinfield, Welfare and Wellbeing: Richard
Titmuss's Contribution to Social Policy, The Policy Press 2001, pp. 368 (www.policypress.org.uk/).
Carlo Gambescia
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