La prendiamo da lontano. Rileggere Carl Schmitt è sempre interessante. Cosa che stiamo facendo in questi giorni.
Perché? Se lo si studia a fondo si scopre che, pur nella genialità di alcune fervide intuizioni, la sua intera opera è priva di una teoria della società e dell’individuo. Il che spiega – secondo alcuni biografi – la sua momentanea adesione al nazionalsocialismo frutto di un comune (con i nazisti) culto monolatrico dello stato e della nazione. Due fattori (stato e nazione), condensati in quello di popolo, che unitamente alle idee di capo carismatico e movimento, da Schmitt allora teorizzate in un libretto, spiegano ex post la sua scelta luciferina.
Può sembrare un pensiero alto, forse troppo elaborato per il comune lettore, ma se un pensatore, un partito, un movimento, un gruppo di opinione, non dispongono o rifiutano una teoria della società e dell’individuo diventa inevitabile il rischio di declinare in chiave autoritaria le politiche pubbliche. Se non peggio.
Facciamo subito un esempio. Schmitt identificava la democrazia con il popolo, con “un popolo”. Di conseguenza, la democrazia poteva essere applicata, ovviamente in chiave plebiscitaria, non parlamentare, solo tra eguali. Nel senso però non dell’individuo, con le sue pratiche private all’interno delle società, in chiave liberale. Ma del popolo tedesco, come blocco unico e unitario. Che in quanto tale escludeva tutti gli altri popoli.
Sotto questo aspetto lo stato era da lui visto come l’organizzazione politica del popolo. Sempre come blocco. Schmitt diffidava della libertà individuale, come pure delle garanzie a tutela di essa. Vi scorgeva degli ostacoli nei riguardi dei doveri di ogni cittadino verso lo stato e della grandezza del popolo tedesco. Siamo perciò davanti a una ferrea sociologia dello stato che trascura totalmente l’individuo e la società. Il pensatore tedesco, e da tedesco, non poteva perciò non aderire al nazismo. Poi Schmitt ci ripensò, ma questa è un’altra storia.
Ora le idee di popolo come blocco unico le ritroviamo, ad esempio nelle politiche antimigratorie delle destre di oggi, a cominciare da quella italiana. Politiche nelle quali la democrazia è declinata, più o meno apertamente, nel senso schmittiano del rapporto tra eguali. In questo caso di estensione dei diritti di welfare solo agli italiani.
Il migrante è giudicato e trattato come un non eguale, fino al punto di incarcerarlo. La stessa idea di “aiutarlo a casa sua” – il mitico piano Mattei per capirsi – si nutre dell’idea schmittiana del blocco unico e della democrazia tra eguali che, ripetiamo, lo stato, come organizzazione politica del popolo, deve garantire esclusivamente agli italiani. Un pugno di euro e poi si arrangino tra di loro e a “casa loro”. Queste le conseguenze della filosofia del popolo blocco unico.
Altro esempio: il delirante intervento di Musk alla festa di Fratelli d’Italia, Atreju. Parole applauditissime. Apprezzate anche da Nicola Porro, liberale per caso forse da sempre, che lo intervistava.
L’invito di Musk a fare figli nasce dall’idea di blocco unico. Altrimenti – ecco l’ argomentazione implicita – si rischia di alterare la purezza del popolo italiano e dei bianchi in generale. Si può ricorrere al migrante solo se utile al “popolo” italiano, francese tedesco, eccetera. Il “blocco unico” di cui sopra.
Probabilmente Elon Musk e Giorgia Meloni, con la quale Musk, si dice, avrebbe un “rapporto speciale”, non hanno mai letto una pagina di Carl Schmitt, però sono imbevuti di idee nazionaliste e razziste. Le stesse idee che hanno impregnato il fascismo e il nazismo.
Musk, non sarà il primo né l’ultimo miliardario con idee razziste. Però le esterna, senza alcun riguardo, inframmezzandole di “viva l’umanità”, poco credibili. Tra l’altro è di origini sudafricane. Visse in quel paese almeno fino all’età di diciotto anni. Quanto a Giorgia Meloni, parliamo di una donna che si è formata all’interno di un partito di estrema destra. Una forza politica che non hai mai disdegnato la sua ammirazione per Mussolini, al quale nessuno impose di varare le legge razziali.
Oggi i politologi nel loro linguaggio forbito, che si nutre di terminologia anglo-sassone, parlano di “Welfare Chauvinism” (“nazionalismo welfarista”), nel senso di una politica pubblica che esclude dai diritti di welfare i migranti, riservandoli ai nativi.
Non è altro che l’idea di democrazia tra eguali, teorizzata da Carl Schmitt, che non scorgeva individui ma solo popolo, in particolare un popolo specifico. Poi sappiamo come è finita, anche a causa dell'accoppiamento poco giudizioso tra popolo tedesco, come blocco unico, e concettualizzazione del politico, come conflitto amico-nemico, anch'essa presente nello Schmitt teorico della politica e nel nazionalsocialismo che ne fece una pratica della politica, non mutuata direttamente da Schmitt, ma da un fortissimo pregresso sentire tedesco che alcuni storici fanno risalire addiritutra a Lutero.
Ed è di questa idea di democrazia tra eguali, che si è parlato ad Atreju, in un tranquillo weekend di paura.
Carlo Gambescia
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