martedì 12 dicembre 2023

Giorgia Meloni, la birraia

 


Le feste di partito affondano le radici in quello che Roberto Michels, a proposito della socialdemocrazia tedesca, primo moderno partito di massa, chiamò socialismo degli osti o dei birrai. Nel senso che, nelle osterie, gestite da un piccolo borghese socialista, mentre tra una birra e l’altra si rafforzava la coesione tra i militanti, qualcuno ci guadagnava (*). Tradotto: il tempo libero del lavoratore come occasione di indottrinamento e profitto.

A dire il vero l’ erede diretto del socialismo birraio sarebbe l’attuale centro sociale. Anche perché con l’avvento dei totalitarismi novecenteschi e delle filosofie politiche dopolavoristiche a sfondo statalistico, come forme di gestione totale dell’intera vita del cittadino-militante, apparirono le grandi adunate, pericolosamente astemie, fasciste, naziste e comuniste.

Però, nel secondo dopoguerra, sempre nella scia del dopolavorismo ideologizzato, si consolidarono, come modello ereditato dai totalitarismi, le feste di partito rilanciate da comunisti,  democristiani,  missini.  Nacque allora l’epica delle feste dell’Unità, dell’Amicizia, del Tricolore, e così via.  Sicché la birra, autentica e ideologica, tornò a scorrere a fiumi.

Un modello che pur tra alti e bassi dura tuttora. Ufficialmente si ripete che sono feste create per avvicinare i partiti alla gente. Ma se si spostano le tendine, per così dire, ci si accorge subito, che non è altro che tribalismo politico riverniciato, neppure di recente. Quindi – ogni vero liberale – dovrebbe tenersi alla larga dalle feste di partito, perché sono una pesante eredità di quella follia collettiva rappresentata dall’accoppiamento poco giudizioso tra ideologie politiche totalitarie e società di massa.

Anzi un vero leader liberale, come prima misura, anzi seconda, dopo la privatizzazione della Rai (il vero Palazzo d’Inverno dei liberali), dovrebbe abolire le feste di partito per decreto legge.

Giorgia Meloni, donna tutta politica, dalle salde radici missine, ovviamente non è di questo parere. Altro che liberale. Le piace più che mai la birra politica e vuole continuare a venderla: quest’anno Atreju 2023 si terrà a Castel Sant’Angelo, complice, “pe’ li rami”, il Ministero dei Beni Culturali, saldamente in pugno a un uomo, i cui unici meriti culturali sono quelli di eseguire alla perfezione gli ordini di Palazzo Chigi.

In fondo non è passato molto tempo da quando Fratelli d’Italia “celebrava” all’Isola Tiberina e agli ex “giardinetti” di Piazza Risorgimento. Il potere è comando sugli uomini e sulle cose. Anche minime: come il trasferimento di una festa da un’anonima rotatoria stradale e da un’isoletta sul Tevere invasa dai sorci a un Mausoleo-Castello ricco di storia. Che fu anche prigione: una cosa inquietante soprattutto quando si pensa alle radici ideologiche di Fratelli d’Italia. E a quel magnifico (si fa per dire) Scarpia che sarebbe Ignazio La Russa.

Inutile scorrere il programma (poi diremo perché **). Quanto agli ospiti siamo davanti a una lista autocelebrativa di gerarchi, gerarchetti, interni ed esterni a Fratelli d’Italia, ma tutti riconducibili a quei criteri di fedeltà assoluta alla linea conservatrice propugnata da Meloni.

E qui veniamo al programma. Indubbiamente il taglio è conservatore: dio patria e famiglia. Però la vera domanda è: Giorgia Meloni si è veramente convertita al conservatorismo, classico di stampo britannico?

La risposta è negativa. E per ragioni di tempistica della socializzazione culturale. Tradotto: come è possibile, che in neppure cinque anni, Giorgia Meloni sia passata dalle foto e strette di mano con Steve Bannon (Atreju 2018), lo scalmanato ideologo mezzo fascista di Trump, a quelle prossime e venture con Rishi Sunak, compassato e democratico leader conservatore britannico (Atreju 2023)?

Si dirà, ottimo, grande pragmatismo. E a passo di corsa. Alla bersagliera diciamo.

In realtà,  e per fare un esempio non  a caso,  come altri avventurieri della storia anche Mussolini era pragmatico: appena conquistato il potere cooptò non pochi ministri delle vecchia guardia. Poi finì come tutti sappiamo.

Insomma, non si deve guardare il dito ma la luna. Cioè lo sfondo ideologico. Che ci dice che per Giorgia Meloni il Novecento delle grandi kermesse ideologiche di lavaggio del cervello non è mai finito.

Giorgia Meloni continua a vedere birra, come prova Atreju 2023. Birra scura, ovviamente.

Carlo Gambescia

(*) R. Michels, Sociologia del partito politico nella democrazia moderna, il Mulino, 1966, pp. 382-389.

(**) Qui il programma: https://www.secoloditalia.it/2023/12/atreju-festeggia-lorgoglio-italiano-nel-segno-degli-eroi-di-destra-donzelli-venite-con-le-famiglie-il-programma/ .

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