venerdì 15 dicembre 2023

Tecnica, cultura, liberalismo. Una replica a Nino Arrigo

 



Sulla rivista online “Strade”, diretta da Carmelo Palma, Nino Arrigo, che ringrazio per il sincero interesse verso i miei scritti, pone un problema fondamentale. Quello della relazione tra cultura e tecnica

Qualcosa che perciò va al di là della questione, pur importante, del declino del liberalismo per opera del liberalismo stesso (*). Come pure delle questioni economiche, cioè del rapporto tra forme di concorrenza imperfetta e comunicazione digitale, argomento che ho già affrontato altrove (**).

Vengo al punto. Da circa un secolo si dibatte sul primato della cultura sulla tecnica e viceversa. E qui, come cassetta degli attrezzi, pensiamo agli scritti di pionieri cognitivi come Weber, Max e Alfred, Simmel, Sombart, eccetera. Tuttavia non si è ancora giunti a una risposta precisa.

La cultura può imbavagliare la tecnica? Oppure può valere il contrario?

Per venire ai nostri giorni: l’Intelligenza Artificiale, ovviamente parliamo dei suoi effetti sociali e politici, può modificare le culture politiche? Le culture politiche possono modificare gli effetti dell’Intelligenza Artificiale? In particolare la cultura liberale che atteggiamento può assumere dinanzi alle tecniche digitali, basate ad esempio sugli algoritmi?

 Mancando riposte certe e assolute, intervenire politicamente si rivela molto difficile. Di qui la necessità dell’antica ricetta sociologica e liberale al tempo stesso: “lasciar fare, lasciar, passare”, nel senso di permettere che la tecnologia faccia il suo corso, come tutti gli altri fenomeni sociali.

Per fare un esempio: se all’inizio della Rivoluzione industriale, che tra l’altro nessuno sapeva che era in atto, si fosse applicata l’attuale legislazione sul lavoro, non avremmo avuto nessuna Rivoluzione industriale.

Pertanto ciò che va evitato è il ricorso a una legislazione in materia, quindi al primato della cultura (giuridico-legistativa) sulla tecnologia (digitale). Detto altrimenti: dell’ “esperienza” Rivoluzione industriale dobbiamo privilegiare una preziosa lezione cognitiva. Che poi – sia detto per inciso – è nozione sociologica base, anzi di natura metapolitica.

Quale lezione? Che le azioni umane hanno effetti non previsti, di qui la necessità – ecco la vera lezione – di non interferire in un’altra rivoluzione in atto, quella digitale, proprio per non soffocarla puntando su un’occhiuta legislazione (semplificando) welfarista.

Insomma, le buone intenzioni non bastano. Molto meglio “lasciar fare, lasciar passare”. Il bene può produrre il bene, ma anche tramutarsi in male, come il male può condurre al bene. Chi siamo noi, uomini e donne, con la nostra “vista corta” per giudicare? Perciò nell’incertezza meglio astenersi. Si chiama  umiltà cognitiva.

Certo, a differenza degli uomini del Settecento, sappiamo che la “nostra” di “rivoluzione” è in atto. Il che però non significa che si debba interferire “culturalmente”, turbando gli equilibri spontanei di una precisa dinamica metapolitica.

Arrigo si interroga infine, e giustamente, sul destino del liberalismo. Cosa dire? Che quanto più il liberalismo si allontanerà dalla norma (nel senso di ciò che è normale) dello spontaneo autogoverno di un sociale che si compone di miliardi individui, che perseguono i propri interessi e valori, tanto più correrà il rischio della deriva suicida.

Il tarlo interno, il “bug” di cui parla giustamente Arrigo, non è nell’ eccesso di tecnologia ma nell’eccesso di cultura. Cioè nel primato in particolare di una cultura welfarista, che vuole proteggere l’individuo a ogni costo. Insomma, anche quando non vuole essere protetto. E soprattutto quando proteggere significa interferire con la norma di cui sopra.

Parliamo di una una cultura welfarista che è tutto, eccetto che liberale. O che comunque ha ridotto il liberalismo a una sbiadita variante del socialismo.

Carlo Gambescia

(*) Qui l’interessante l’articolo di Arrigo: https://www.stradeonline.it/diritto-e-liberta/4832-censura-e-autocensura-liberale-il-nemico-interno-della-societa-aperta# .

(**)  Qui:  https://cargambesciametapolitics.altervista.org/facebook-risposte-a-saccone-arrigo-pompei/ .

***

Qui la risposta del professor Nino Arrigo: https://www.facebook.com/nino.arrigo.

Che riporto di seguito unitamente alla mia replica:

NINO ARRIGO: 

Sono poco ottimista sulle potenzialità della tecnologia a servizio dell'umanità e del capitalismo. E non certo per via di tentazioni stataliste, lungi da me.
Penso che le azioni umane sfuggano alle intenzioni dei soggetti che le compiono, secondo la lezione di Vico e della sua eterogenesi dei fini. Conosco le miserie dello storicismo e rifuggo le concezioni teleologiche della storia e i miti del progresso.
Sulle dinamiche positove della prima rivoluzione industriale sono d'accordo con l'analisi di Carlo Gambescia (e rimando al suo blog). Un po' meno sulla quarta in corso.
Stiamo attraversando un brusco cambiamento di paradigma che erode lo statuto ontologico della modernità capitalistica, imponendoci nuove sfide cognitive. Persino il teorico della società aperta, Popper, ammoniva sui pericoli dei nuovi media per la democrazia.
Cosa penserebbe e direbbe, oggi, di fronte alle sfide del post-umanesimo, dell'intelligenza artificiale e della robotizzazione?
Temo che il modello di capitalismo che si profila all'ombra delle nuove istanze tecnologiche sia quello cinese. E poco ha da spartire con la società aperta.
La storia è fatta di corsi e ricorsi, di traversate nel deserto e oasi. E non vedo oasi all'orizzonte.
Temo, piuttosto, un nuovo medioevo e immagino le risposte di Popper sul futuro della democrazia nell'era digitale. Spero tanto di sbagliarmi.
 
CARLO GAMBESCIA:
 
Grazie Nino  Arrigo  dell'interessante replica e del fruttuoso confronto di idee. I suoi timori sono giustificati. Del resto ci accomuna la visione vichiana dell'agire umano. In ragione di ciò, mi permetta di lasciarle l'ultima parola.

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