Sulla mia pagina Facebook, a proposito della rimozione dei post, è venuta fuori un’interessante discussione. Ho piacere di “aver messo insieme” sotto le mie bandiere, diciamo così, commentatori validissimi come Cosimo Saccone, Nino Arrigo, e altri ancora tra quali spicca l’amico carissimo Carlo Pompei.
Riduco all’osso. Saccone ritiene che Facebook debba essere lasciata libera di intraprendere, eccetera, eccetera. Arrigo, rileva che in tutta questa “libertà” possano nascondersi pericoli, nel senso di uno spiccato economicismo che rischia di penalizzare i “veri” valori di libertà, etici. Carlo Pompei, da par suo, ci spiega, e teme, l’opacità di questo nuovo sistema comunicativo-digitale.
Da parte mia noto, che uno studioso, come chi scrive, è stato trattato dal “sistema” come un rivenditore di pannolini.
La domanda, allora almeno a mio avviso, è la seguente: come è possibile dare a ciascuno il suo? Cioè non trattare un rivenditore di pannolini e un professore alla stessa stregua?
Perché, se proprio si vuole usare questo termine, è vero che “vendono” entrambi cose utili ma è altrettanto vero che sono cose profondamente differenti.
Sul piano economico sono d’accordo con Saccone. Bisogna lasciar fare, lasciar passare, al massimo un solo operaio all’impastatrice… Insomma, andrebbe privilegiata una logica di tipo economico, evitando interferenze politiche. Su quello morale ha però ragione anche Arrigo. Così facendo, ci dice, si rischia – attenzione si rischia (non è detto che…) - la deriva illiberale. Ma non sbaglia neppure Pompei, che si preoccupa dell’opacità di Internet (semplifico) e della difficoltà di arrivare fino in fondo e chi capire chi fa chi, che cosa, per chi, eccetera.
Sono in imbarazzo, perché, come si è capito, sono d’accordo con tutti: Saccone, Arrigo, Pompei. In ogni commentatore c’è del buono sotto il profilo argomentativo.
Ritengo però che vada introdotto un altro elemento interessante. Si può parlare di libera concorrenza in questo settore? Al riguardo esistono studi che evidenziano l’acquisita struttura oligopolistica del mercato comunicativo-digitale: quindi saremmo davanti a una concorrenza imperfetta. Che significa spartizione dei mercati, delle quote di pubblicità, della tecnologia, eccetera.
Oligopolio – sto semplificando da sociologo – significa difesa dello status quo: quindi invece dei profitti si privilegiano le rendite. E questo spiegherebbe, se ci si passa l’espressione, il raschiare il fondo della botte che sacrifica e parifica professori e venditori di pannolini. Perciò Saccone dovrebbe – è solo un consiglio, per carità – leggere o rileggere Schumpeter.
Un grande economista che descriveva (e temeva) la deriva burocratico-oligopolistica del capitalismo: uno scivolamento, tra l’altro, gradito ai socialisti di ogni sfumatura, pronti a sfruttare, ogni scricchiolio e insenatura burocratica (anche in termino di “do ut des” con lo stato), dell' impastatrice capitalistica. Perciò ci si dovrebbe aprire e rischiare, invece di raschiare (la botte) e contendersi briciole (si fa per dire) di pubblicità.
Cioè qui non parliamo del negozietto sotto casa, e quindi “anche” della giustificata reazione del piccolo proprietario, come dice Saccone, ma di colossi, che una volta superata la fase eroica, si spartiscono le spoglie (leggi rendite).
Questa sostituzione delle rendite ai profitti (in tutto i sensi, anche pubblicitari) meriterebbe un approfondimento. Anche per non lasciare campo libero ai nemici della mercato e della libera concorrenza.
Credo che Saccone, persona tra l’altro lucida e preparata, estenda, forse confondendo le due cose, al capitalismo delle rendite le dinamiche del capitalismo dei profitti.
Ripeto, credo. Non sono sicuro. Perché anch’io sono pieno di dubbi. Perché temo che privilegiando (quindi in esclusiva) la tesi etica di Arrigo, e/o quella cognitiva di Pompei, sorga il pericolo di minimizzare gli aspetti economici. Però temo pure che valorizzando la comunque lucida argomentazione di Saccone si vada incontro alla sottovalutazione dei due aspetti evidenziati da Arrigo e Pompei.
Situazione difficile. Devo ammettere che sul punto mi sento allora più vicino allo scetticismo di Pompei sulla possibilità di trovare una soluzione. Però come dice Arrigo, non può neppure essere sottovalutato il rischio di derive illiberali. Pareto, altro grandissimo studioso di economia e sociologia, scorgeva nel percettore di rendite un conservatore, se non un reazionario, un nemico del mercato e del liberalismo. Pertanto le tesi di Arrigo hanno un illustre precedente.
Però, dopo tutto, anche Saccone non ha torto. Perché è necessario “lasciar fare lasciare passare”, avere fiducia nella capacità regolativa del mercato. Però – attenzione – di un mercato basato sui profitti, non sulle rendite. Qui il nodo.
Come tornare a una struttura non oligopolistica del mercato comunicativo-digitale? Buone leggi anti-oligopolistiche.
Chi può vararle? “Questa” classe politica, altrettanto assetata di rendite?
E qui, come nel Gioco dell’Oca, si torna alla casella di partenza. A un capitalismo che invece di elemosinare favori politici e raschiare il fondo della botte, parificando venditori di pannolini e professori, si metta nelle condizioni di recuperare le sue virtù eroiche.
Servono corsari, ma corsari veri, capaci di rischiare in proprio. Non di raschiare…
Carlo Gambescia
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