ll titolo che campeggia in prima pagina sulla “Stampa” è esemplare. Di che cosa? Di una visione statalista, diremmo spudorata. Una specie di statalismo che si dichiara capace di occuparsi anche dell’ Aldilà. Diciamo pure, perseguitati dallo stato persino nella tomba.
Un atteggiamento che sembra caratterizzare, precipitando nel tragicomico, come prova il pomposo titolo, certa pubblica opinione che si dichiara progressista. O peggio ancora liberale…
In pratica, siamo dinanzi a un “Evviva lo stato necroforo!”, conseguenza diretta del corto circuito ideologico tra la visione dello stato come “difensore” dei "diritti sociali" e una sanità, altrettanto pubblica, quindi "sociale", addirittura celebrata perché tale.
Qual è il risultato? Che lo stato, che se realmente liberale dovrebbe essere neutrale, si tramuta nel braccio politico delle più diverse ideologie. Si badi, se lo stato, coma auspica la destra, si schierasse ufficialmente e definitivamente con la dottrina cattolica che condanna il suicidio volontario, sarebbe la stessa cosa.
Per contro, lo stato deve essere neutrale. Deve rimanere fuori da queste cose. Decidere di morire è una scelta individuale. Che, ovviamente, pensiamo al singolo, per essere coerente, con la pratica della libertà individuale, deve rifiutare, qualsiasi “aiuto di stato”. Occorrono individui coraggiosi e orgogliosi della propria libertà fino all’ultimo.
La stessa differenziazione tra eutanasia, come atto volontario, attivo, e il suicidio assistito, atto passivo, che prevede l’aiuto medico, sembra studiata apposta per introdurre l’idea di suicidio amministrato dallo stato. Anche perché in Italia il sistema sanitario è pubblico, quindi l’abbraccio dello stato o delle regioni (stessa cosa) viene comunque giudicato inevitabile.
In realtà, basterebbe cancellare dal codice penale il reato d’ istigazione al suicidio. Lasciando a ogni di individuo la libertà di regolarsi come desidera, senza timore di finire in prigione. Sebbene, quando stiamo dire possa apparire frutto di umorismo macabro, in tal caso fiorirebbe subito l’iniziativa privata, come oggi nel campo delle pompe funebri. Potrebbe bastare un puro e semplice atto notarile, da stilare in vita, eccetera, eccetera.
Potrebbero verificarsi degli abusi? Certamente. Si tratta di un rischio connesso a ogni forma di libertà individuale, che implica inevitabilmente la responsabilità delle proprie azioni. E non tutti gli uomini si comportano in modo responsabile.
Il che però non significa, come nel caso degli incidenti automobilistici, che si debba vietare la vendita delle automobili. Oppure – altra bella “pensata” – sempre per le quatto ruote, obbligare le tutte persone a servirsi del trasporto pubblico collettivo.
E invece è proprio ciò che accade quando si vuole tramutare un normale diritto individuale in un diritto sociale.
Parola magica che serve a coprire l’intervento di uno stato non più neutrale ma schierato con una parte politica che, confondendo se stessa (la parte) con il tutto (società), finisce regolarmente per penalizzare l’individuo, che non è parte né tutto. E’individuo, punto. L’unica realtà concreta: Mario, Filippo, Giuseppe, Ada, Alessandra, Rita…
Privarsi della vita da soli o con l’aiuto di altri, non è un diritto sociale, è un diritto individuale, come comprarsi una casa, una automobile, eccetera, eccetera. Certo, i problemi morali implicati non solo gli stessi. Però riguardano la coscienza individuale non un inesistente soviet della coscienza collettiva. Di conseguenza lo stato deve restarne fuori. Bastano i notai.
Carlo Gambescia
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