Le manifestazioni anti-Trump
E’ ovvio che la democrazia, proprio perché tale, debba
ammettere il dissenso, anche pubblico, quindi di piazza. Il problema non riguarda tanto
le manifestazioni, quando la loro natura (pacifica o meno) e il grado di legittimazione politica delle medesime. Nel primo caso, davanti agli eccessi, la repressione spetta alle forze dell’ordine (e il giudizio sugli uni e le altre alla magistratura); nel secondo caso, dinanzi alla violazione dei valori che regolano la democrazia
(come la mutua accettazione di una sconfitta elettorale), è compito delle élites politiche,
soprattutto dei perdenti, ritirarsi in buon ordine ed evitare che le schede possano tornare a trasformarsi in pallottole (il famoso ballot x bullet). La democrazia dei moderni consiste,
principalmente, nella trasformazione del
conflitto armato in conflitto politico. In conflitto tra avversari, non tra nemici. Equilibrio, in realtà, difficile da conservare.
Ecco, sono questi, gli atteggiamenti che possono distruggere l'equilibrio democratico.
Probabilmente i facinorosi che osteggiano Trump in piazza, anche se non provocati, avrebbero comunque protestato secondo modalità così clamorose. Ma un politico, se serio e
responsabile, non
deve mai aizzare le folle
contro le istituzioni, soprattutto quando democratiche. Ora però il danno è fatto, e oltre a Trump, che tra l’altro sembra aver sfoderato un nuovo alto profilo istituzionale, i suoi avversari
democratici e i media spostati a sinistra dovrebbero evitare
di soffiare sul fuoco.
Si pensi solo, senza andare troppo indietro nella storia, al caso
italiano, dove, per oltre venti anni, il
giustizialismo e la contestazione politica permanente e feroce di chiunque fosse al governo, hanno destabilizzato le
istituzioni e portato acqua al mulino elettorale di pericolosi movimenti antisistemici.
La democrazia liberale (liberale perché attenta al dissenso e ai
diritti dei singoli) è un meccanismo estremamente delicato e riposa non tanto (
o comunque, non solo) sul
rispetto di regole scritte, quanto sulla necessità "politica" di capire, da parte dei
partiti, di maggioranza come di opposizione (ma anche, cosa non secondaria,
dell’apparato mediatico), che
una volta risvegliato l’
istinto gregario e violento degli
elettori non è facile tornare indietro. Pertanto, è certamente vero che Trump ha iniziato per
primo, usando un linguaggio durissimo verso gli avversari, però è altrettanto vero che tentare di delegittimarlo, dopo una
regolare vittoria elettorale, significa davvero incamminarsi verso l’orlo del
precipizio.
Qualcuno dirà, anche Hitler vinse eccetera. Ma il punto è proprio
questo, Trump non è Hitler. Dove sono le SA o le SS? C’è un abisso tra un
conservatore americano all’antica, che ha saputo fare un sacco di soldi, che non guarda oltre il giardino di casa sua, e un militarista mitomane,
professionalmente fallito, che voleva conquistare il mondo a qualunque costo per purificarlo
dagli ebrei. E poi il contesto degli Stati
Uniti di oggi è
completamente diverso da quello della Germania di Weimar.
Sono cose scontate, eppure, siamo costretti a ricordarle. Morale: come dicevano i nonni, che di
sociologia non sapevano nulla di nulla, chi ha buon senso, lo usi. Attenzione a non
sfasciare tutto.
Carlo Gambescia
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