venerdì 11 novembre 2016

Le manifestazioni anti-Trump
Attenzione a non sfasciare tutto…



E’ ovvio che la democrazia, proprio perché tale,  debba  ammettere  il dissenso, anche pubblico, quindi di piazza.  Il problema non riguarda  tanto le manifestazioni, quando la loro natura (pacifica o meno) e il grado di legittimazione politica delle medesime.  Nel primo caso, davanti agli  eccessi, la repressione spetta alle forze dell’ordine (e il giudizio sugli uni e le altre alla magistratura); nel secondo caso, dinanzi alla violazione dei valori  che regolano la democrazia (come la mutua accettazione di una sconfitta elettorale),  è compito delle élites politiche, soprattutto dei perdenti, ritirarsi in buon ordine ed evitare che le schede possano tornare a trasformarsi in pallottole (il famoso ballot x bullet).  La democrazia dei moderni consiste, principalmente, nella trasformazione  del conflitto armato in conflitto politico. In conflitto tra avversari,  non tra nemici. Equilibrio, in realtà, difficile da conservare.
A questo  pensavamo, leggendo  delle manifestazioni contro il neo-eletto presidente Trump. Il quale, indubbiamente, ha cominciato per primo. Come dimenticare le sue  dichiarazioni, prima della vittoria? Sul fatto  che egli  non fosse poi così sicuro di poter accettare un verdetto elettorale sfavorevole? Dal momento che diffidava del sistema?
Ecco, sono questi,  gli atteggiamenti che possono distruggere l'equilibrio democratico. Probabilmente i facinorosi che osteggiano Trump in piazza, anche se non provocati, avrebbero comunque protestato secondo modalità così clamorose.  Ma un politico, se serio e responsabile,  non deve  mai aizzare le folle contro le istituzioni, soprattutto quando democratiche.  Ora però il danno è fatto,  e oltre a Trump, che tra l’altro sembra aver sfoderato un nuovo alto profilo istituzionale, i suoi avversari democratici  e i media  spostati a sinistra  dovrebbero evitare di soffiare sul fuoco. 
Si pensi solo, senza andare troppo indietro nella storia, al caso italiano, dove, per oltre venti anni,  il giustizialismo e la contestazione politica  permanente e  feroce di chiunque fosse al governo,  hanno destabilizzato le istituzioni e portato acqua al mulino elettorale di pericolosi  movimenti antisistemici.
La democrazia liberale (liberale perché attenta al dissenso e ai diritti dei singoli) è un meccanismo estremamente delicato e riposa non tanto ( o comunque, non solo)  sul rispetto di regole scritte, quanto sulla necessità "politica" di capire, da parte dei partiti, di maggioranza come di opposizione (ma anche, cosa non secondaria, dell’apparato mediatico),  che una volta risvegliato  l’ istinto gregario e violento  degli elettori  non è facile tornare indietro. Pertanto,  è certamente  vero che Trump ha iniziato per primo, usando un linguaggio durissimo verso gli avversari, però è altrettanto vero che  tentare di delegittimarlo, dopo una regolare vittoria elettorale, significa davvero incamminarsi verso l’orlo del precipizio.
Qualcuno dirà, anche Hitler vinse eccetera. Ma il punto è proprio questo, Trump non è Hitler. Dove sono le SA o le SS? C’è un abisso tra un conservatore americano all’antica, che ha saputo fare un sacco di soldi,  che non  guarda oltre il  giardino di casa sua, e un militarista mitomane, professionalmente fallito, che voleva conquistare il mondo a  qualunque costo per purificarlo dagli ebrei. E poi il contesto degli  Stati Uniti di oggi  è completamente diverso da quello della Germania di Weimar.
Sono cose scontate, eppure, siamo costretti a ricordarle. Morale: come dicevano i nonni, che di sociologia non sapevano nulla di nulla,  chi ha buon senso, lo usi. Attenzione a non sfasciare tutto.

Carlo Gambescia                      

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