Stati Uniti, presidenziali 2016
Ha
vinto Trump. Cosa dire? Intanto, come oggi si legge, finisce l' “’Era Obama”, inventata
a tavolino intorno al presidente più mediatizzato della storia americana. E, se
ci si perdona la caduta di stile, chi di
mediatizzazione ferisce di mediatizzazione perisce. Come spiega, per l’appunto l’ascesa
vittoriosa di un personaggio altrettanto mediatizzato come Trump: inaspettata, per coloro, che vivendo nel mondo
dei sogni liberal, parlavano di “Era Obama”, magnificando quel che invece
non andava magnificato. Come provano i fatti (elettorali)
Di
Obama si può apprezzare solo il provvedimento salvabanche, che, a differenza di
quel che sta accadendo in Europa, ha rimesso in piedi un sistema capace, in
primis di restituire i soldi ricevuti, in secundis, di camminare con le gambe proprie. Ciò di cui non sono capaci le banche europee, tuttora foraggiate dalla BCE.
Quel
che sorprende è che Obama (il voto è contro Obama, piuttosto che contro Hillary
Clinton, candidato debole), perde, pur lasciando una nazione in piena ripresa economica: le questioni della deindustrializzazione e delle delocalizzazioni non sono nuove, e finora sono state solo uno dei temi, neppure tra i più significativi di varie tornate elettorali (dalla fine della presidenza Reagan). I voti a Trump, sono venuti, non tanto da un effettivo stato
di malessere, ingigantito dai media europei (che invece dovrebbero guardare nel proprio orticello), dal momento che l' economia americana è in piena ripresa, quanto dal timore di perdere il benessere acquistato, timore ingigantito da due problemi reali, interni-esterni: terrorismo e immigrazione, problemi che riguardano tutti gli
americani, a prescindere dal colore delle pelle e dall’etnia di provenienza. Questioni
sulle quali Obama si è mostrato poco risoluto e di corte vedute. Come non gli ha giovato il progetto, pur
timido (rispetto agli elefanti assistenziali europei), di riforma sanitaria, non
apprezzato da oltre la metà degli americani, non abituati, per tradizione, a
tendere la mano: di regola, due statunitensi su tre, alla domanda: "Cosa può fare lo stato per
te?", rispondono: "Niente, perché faccio da solo".
Il
che spiega il doppio registro che ha fatto vincere Trump: liberismo all’interno
e protezionismo all’esterno. Posizione
tipica della vecchia tradizione repubblicana, più vicina alle teorie del tedesco List che ai
liberoscambisti britannici. Pertanto,
guai a confondere Trump con un populista europeo. Come si usa dire negli Stati Uniti, Trump è un paleo-conservatore. Qualsiasi collegamento
con Reagan (e i due Bush) è fuori luogo.
Ora,
si deve scoprire come governerà Trump.
Gli Stati Uniti non possono rinunciare al mercato mondiale né a svolgere un
ruolo fondamentale in politica internazionale. E questa mattina i mercati non sembrano particolarmente entusiasti. C’è però una logica politica più
forte degli uomini e della stessa economia. Si chiama logica imperiale: una logica che ha
forza propria, anche quando gli
attori politici si impongano di rifiutarla. Se l'Europa non è all'altezza, come sembra, possono esserlo altri. La geopolitica non ammette vuoti di potere. Ed è compito dei presidenti statunitensi - l'altra faccia dell'Occidente - se veramente capaci,
assecondare tale logica. Altrimenti, il potere passerà di mano. Pertanto, come scrivevamo ieri, al nuovo presidente occorrono la spada e la retorica. Obama ha mostrato che la retorica non basta. E Trump? Qui
è il problema. Talvolta in democrazia, non basta vincere le elezioni, perché dopo, si deve saper governare. Anche un impero. Volenti o nolenti.
Carlo Gambescia
Gli sconfitti sono sia i radical chic americani, tra i quali lo spaccachitarre coatto Bruce S. e l'attore De Niro che ha dato del porco a Trump, dimenticando che così facendo offendeva milioni di connazionali sostenitori del miliardario dal capello mosso. Dicevo degli sconfitti. Anche una parte considerevole della casta radical in Italia è sconfitta dalla realtà. I giornalisti proni al ducetto fiorentino, i cantanti, le ballerine, gli scrittori, i salottieri cafonal, tutti sovraesposti in queste settimane al grido: viva Hilary Clinton. Su Rai 1 stamattina, ho visto facce funeree: i conduttori dalle occhiaie intristite, farfugliavano di Borse calanti. Beppe Severgnini in lutto stretto, Lerner invoca l'armageddon, Gentiloni già triste di suo teme sul futuro della sua poltrona, Vittorio Zucconi ciancia di sondaggi sbagliati e dimentica che non sono i sondaggisti alla fine a decidere chi vince, ma il popolo. Che parolaccia questa: il popolo. Per gli ex nipoti di Stalin questa parola l'hanno dimenticata da un pezzo, ora sono impegnati a far parte dei consigli d'amministrazione delle banke, manco fossero democristiani. La tua analisi, Carlo, è perfetta. Il domani non si conosce, ma la potenza yankee non lascerà il campo ad altri.
RispondiEliminaEgr. Dott. Gambescia,
RispondiEliminala Sua analisi non tiene conto di un altro fattore: il favore con cui la Russia ha accolto la vittoria di Trump. Perchè un altro impero disposto a riempire il vuoto lasciato da quello americano, almeno per quanto riguarda Europa e Vicino Oriente, c'è già...
PMF