giovedì 24 novembre 2016

"La mafia uccide solo d'estate"  diventa  una fiction in sei puntate su Rai1
La metamorfosi di Pif



Che pensare della metamorfosi di  Pif ( al secolo Pierfrancesco Diliberto)?  “La Mafia uccide solo d’estate” mi piacque molto:  non mancavano poesia e giusta dose di  impegno civile.  Il film  ebbe il placet  non solo di chi scrive,  che di cinema ne capisce poco, bensì di critici molto preparati e  indipendenti.   Va però detto  che mi deluse  il tour finale  di Pif, con il  suo bambino quasi in  fasce ( se ricordiamo bene), spiegando al piccolo, ancora incapace di intendere e di volere, che “qui i mafiosi uccisero quello, lì quell’altro”.  I modi, erano  ossessivi, sgradevoli, da commissario politico, in contrasto con lo spirito liberale del film. Spirito liberale significa, contrariamente a quel che scrive Rousseau,  che non si può, anzi non si deve mai, costringere nessuno ad essere libero: figurarsi un neonato. Insomma, mafia e komsomol, pari sono.  
Mi chiesi, uscendo dal cinema, che ne può sapere un bimbo?  Come del resto provava, pensai, il lavoro stesso, dove il giovane protagonista “scopre” la mafia alla fine di un percorso di crescita personale (come si usa dire). Un cammino, in chiave individuale, non "collettivista",  ricco però  di paradossi, descritto con cura,  umorismo e, come dicevo, poesia.
Ora, la fiction televisiva in sei puntate, ricavata dal film, sembra  veramente altra cosa:  il lato umoristico  si è fatto sarcastico, addirittura acido:  si gioca sui peggiori stereotipi;  per i mafiosi si va da Lombroso ( un Reina,  da manuale positivista di antropologia ) a Freud-Castellitto ( lo scontato contrasto edipico tra Ciancimimo padre e Ciancimino figlio);  la poesia, per ora, risulta latitante, come un Corleone qualsiasi. L’Edipo-Massimo Ciancimino sembra preludere alla futura uccisione giudiziaria del padre e alla conseguente vittoria della  tesi adombrata  dal figlio: quella  della cupola politica (democristiana-craxiana-berlusconiana e, come alcuni si augurano,  pure renziana),  cavallo di battaglia dei professionisti del romanzo antimafia.  Purissima grappa distillata, ogni mattina,  dal “Fatto Quotidiano”.
Il problema non è che la mafia, non esiste, come ripete  gesticolando,  il capelluto e baffuto  zio del giovane protagonista, macchietta in odore di mafia ambientale, bensì che esiste, insieme alla mafia, il professionismo dell’antimafia.  Che si perde, trascurando la guerra alla mafia reale,   nella creazione di teorie complottiste,  che vanno ad alimentare il romanzo sulla mafia. E che magari, se capita, possono servire come trampolino di lancio per carriere politiche, a sinistra, talvolta però di sicuro insuccesso.  E Pif, che pure era un giovane  promettente,  magari, come si è detto, con qualche tratto ossessivo (del resto nascere a Palermo non è uno scherzo, segna...), sembra aver abboccato all’amo del professionismo antimafia. Peccato. 
Carlo Gambescia


                                               

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