"La mafia uccide solo d'estate" diventa una fiction in sei puntate su Rai1
La metamorfosi di Pif
Che
pensare della metamorfosi di Pif ( al secolo Pierfrancesco Diliberto)? “La Mafia uccide solo d’estate”
mi piacque molto: non mancavano poesia e
giusta dose di impegno civile. Il film
ebbe il placet non solo di chi
scrive, che di cinema ne capisce poco,
bensì di critici molto preparati e indipendenti. Va però detto che mi deluse il tour finale
di Pif, con il suo bambino quasi
in fasce ( se ricordiamo bene), spiegando al piccolo, ancora incapace di
intendere e di volere, che “qui i mafiosi uccisero quello, lì quell’altro”. I modi, erano ossessivi, sgradevoli, da commissario
politico, in contrasto con lo spirito
liberale del film. Spirito liberale significa, contrariamente a quel che scrive Rousseau, che non si può, anzi non si deve mai, costringere nessuno ad essere libero: figurarsi un neonato. Insomma, mafia e komsomol, pari sono.
Mi
chiesi, uscendo dal cinema, che ne può sapere un bimbo? Come del resto provava, pensai, il lavoro stesso, dove il giovane protagonista
“scopre” la mafia alla fine di un percorso di crescita personale (come si usa
dire). Un cammino, in chiave individuale, non "collettivista", ricco però di paradossi, descritto con cura, umorismo e, come dicevo, poesia.
Ora,
la fiction televisiva in sei puntate, ricavata dal film, sembra veramente altra cosa: il lato umoristico si è fatto sarcastico, addirittura acido: si gioca sui peggiori stereotipi; per i mafiosi si va da Lombroso ( un Reina, da manuale positivista di antropologia ) a
Freud-Castellitto ( lo scontato contrasto edipico tra Ciancimimo padre e Ciancimino figlio); la poesia, per ora, risulta latitante, come un
Corleone qualsiasi. L’Edipo-Massimo
Ciancimino sembra preludere alla futura uccisione
giudiziaria del padre e alla conseguente vittoria della tesi adombrata dal figlio: quella della cupola politica (democristiana-craxiana-berlusconiana
e, come alcuni si augurano, pure renziana), cavallo di battaglia dei professionisti
del romanzo antimafia. Purissima grappa distillata, ogni mattina, dal “Fatto Quotidiano”.
Il
problema non è che la mafia, non esiste, come ripete gesticolando,
il capelluto e baffuto zio del
giovane protagonista, macchietta in odore di mafia ambientale, bensì che
esiste, insieme alla mafia, il professionismo dell’antimafia. Che si perde, trascurando la guerra alla mafia
reale, nella creazione di teorie
complottiste, che vanno ad alimentare il
romanzo sulla mafia. E che magari, se capita, possono servire come trampolino di lancio per carriere politiche, a sinistra, talvolta però di sicuro insuccesso. E Pif, che pure era un giovane promettente, magari, come si è detto, con
qualche tratto ossessivo (del resto nascere a Palermo non è uno scherzo, segna...), sembra
aver abboccato all’amo del professionismo antimafia. Peccato.
Carlo Gambescia
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