Gli ultimi dati Istat sul calo demografico italiano
Calice mezzo pieno o mezzo vuoto?
Finalmente una buona notizia. O quasi. Insomma, "depende". L’Istat riferisce che
«Per il
secondo anno consecutivo scende il numero di nati da coppie residenti in Italia
con almeno un genitore straniero: sono quasi 101 mila nel 2015, pari al 20,7%
del totale dei nati a livello medio nazionale (circa il 29% nel Nord e l'8% nel
Mezzogiorno). Lo riferisce l'Istat, aggiungendo che continua anche il calo dei
nati da genitori entrambi stranieri: nel 2015 scendono a 72.096 (quasi 3 mila
in meno rispetto al 2014). In leggera flessione anche la loro quota sul totale
delle nascite (pari al 14,8%).»
« Al
top dei nomi scelti c'è per i bambini Adam, Youssef, Rayan, ma anche Matteo, Alessandro e Davide. Per le bambine il primato spetta a Sara. "La tendenza a scegliere per i propri figli
un nome diffuso nel Paese ospitante piuttosto che uno tradizionale - spiega
l'Istat - è spiccata per la comunità cinese" mentre "un comportamento
opposto si registra per i genitori del Marocco, che raramente scelgono per i
loro figli nomi non legati alle tradizioni del loro paese d'origine.»
Che dire? Fermo restando il dato sul trend negativo circa le nascite da
coppie italiane, (perché anche questo riferisce l’Istat), se si associa il calo
di natalità al cambiamento dello stile di vita (e qui resta interessante
anche la scelta di nomi italiani),
significa che la secolarizzazione dei costumi, come dire, funziona. Certo,
sull’altro piatto della bilancia, rimane la crescente denatalizzazione che non riguarda solo l’Italia ma l’intera
Europa. Però quel che non viene mai ricordato, è che il trend negativo nel breve periodo ha
rappresentato un elemento di coesione
sociale e di loyalty (lealtà) sistemica, per dirla con Hirschman. Ci spieghiamo meglio.
Il combinato disposto, in particolare degli ultimi anni, tra
crescita della natalità e decrescita del Pil avrebbe provocato due fenomeni che l’Italia in passato ha ben conosciuto: 1) di exit (defezione), nel senso dell' emigrazione di massa (non parliamo della cosiddetta fuga dei cervelli, che è altra cosa:
qui parliamo di milioni di persone); 2) di voice (protesta), ossia di disordini sociali e conseguenti rischi
di radicalizzazione politica, favoriti anche 3) da crescenti livelli
di disoccupazione intellettuale.
Soprattutto quest’ultimo aspetto, tipico delle società mobili, rimane un pericoloso fattore di destabilizzazione istituzionale. Dal momento che il mix
tra alti tassi di natalità, ridotte possibilità di lavoro in patria, e conseguente
impossibilità di ascesa professionale all’interno di una società, dove a differenza del mondo pre-moderno, i rapporti
sociali sono fluidi, può risultare esplosivo sotto l’aspetto politico. Le rivoluzioni - come nella Francia pre-1789
e nella Russia pre-1917, per fare due esempi facili - avvengono nelle società in sviluppo (in tutti i sensi), dove ricchezza e promozione sociale sembrano essere a portata
di mano. Per contro, dove esistono rapporti
sociali ed economici gerarchici e autarchici, come nelle società immobili, realmente "castali" (altro che le chiacchiere del "Fatto Quotidiano"), possono avvenire rivolte, anche di palazzo,
ma non rivoluzioni nel senso delle società mobili. E comunque sia - si pensi ad esempio al ruolo, economicamente, “progressista” del ceto dei Cavalieri nell’antica Roma - dietro la “rivoluzione” c’è una società che
preme, che si sta “mobilizzando”, una
società in trasformazione, insomma.
Certo, nel lungo periodo il calo demografico ( e non solo) può costituire un fattore di “decadenza oggettiva”, per
dirla con Chaunu: rischia di sparire la materia sociale “prima”, la popolazione. E questo potrebbe costituire un problema. Innegabile. Per ora tuttavia, il basso tasso di natalità, per pensarla nei termini del calice mezzo
pieno, evita: 1) sommovimenti e rotture interne, politicamente traumatiche, nonché, se condiviso, come pare, dai residenti
stranieri, in quanto modello
demografico (connesso allo stile di vita), 2) fa ben sperare sull’integrazione socioculturale di
questi ultimi.
In fondo, l’Unione Sovietica, l’Islam del XX
secolo, per usare la famosa espressione di Jules Monnerot, non è stata
sconfitta schierando i nostri frigoriferi?
Certo, ripetiamo, rimane il problema della “decadenza
oggettiva”, o comunque di una possibile società degli anziani, dai costi sociali elevati (soprattutto con il welfare universalistico). Però come diceva un nostro caro amico, una pena al giorno può bastare.
Carlo
Gambescia