Terrorismo
e “bon ton”
di Teodoro Klitsche de la Grange
La settimana scorsa a “Porta a porta” il Ministro degli
interni, on.le Alfano ci ha insegnato che è inconsueto ed inaudito per un
movimento terrorista (come l’ISIS) pretendere di costituire uno Stato;
ricordando a sostegno di ciò come Al-Queda non avesse progettato di farlo.
Quindi, ne avranno concluso i telespettatori, il
proposito di fondare uno Stato da parte di chi pratica il terrorismo denota una
volontà anomala e (probabilmente) politicamente scorretta. I terroristi
facciano i terroristi (forse la
Spectre ?); gli altri edifichino gli Stati.
Sarà ma la normalità, la regola è proprio l’inverso: chi vuole costruire una nuova sintesi
politica (come lo Stato) spesso pratica il terrorismo – variante, per lo più
urbana – della guerriglia: è raro il caso che si faccia un nuovo Stato sine effusione sanguinis.
Tra i tanti esempi di ciò, offerti dalla storia,
ricordiamo che l’unità italiana era voluta anche da Felice Orsini, che – per
realizzarla - insanguinò Parigi con l’attentato a Napoleone III; che l’Algeria
moderna è nata dal terrorismo dell’FLN; l’Irlanda da quello dell’IRA; Israele
da quello (anche) dell’Irgun zwei leumi;
l’ANP da quello dei movimenti di resistenza palestinesi. E potremmo andare
avanti per pagine, perché se gratti uno Stato qualsiasi, hai un’alta
probabilità di trovare – all’origine – il terrorismo.
Se l’on. Alfano avesse conosciuto uno scritto di
un suo grande conterraneo, Santi Romano, si sarebbe accorto che questa
“regolarità” era stata considerata, “scoperta” e ricondotta alla “normalità” dell’istituzione
(cioè del diritto) già alla fine della seconda guerra mondiale.
Con l’attacco alle Torri gemelle del 2001 questa
normalità subì un’eccezione: Al
Quaeda non sembrava rivendicare, né ha mai tentato realmente di costituire uno
Stato, o almeno una sintesi politica
a questo equiparabile: ma questa era l’eccezione
alla regola.
Ed era frutto dell’intuizione di Bin Laden che
aveva applicato alla guerra “asimmetrica” un consiglio di Sun-Tzu: a fronte di
uno Stato – come gli USA - dotato di un enorme
potenza (militare, economica e così via) si doveva contrapporre un modo di
combattere che puntasse non sulla potenza (sarebbe stato sconfitto in partenza)
ma sull’invulnerabilità. Il che
voleva dire far si che gli USA non potessero indirizzare su obiettivi
determinati ed individuati il proprio potenziale militare. E per far questo
doveva rinunciare allo scopo normale
(o rinviarlo), cioè a formare una sintesi
politica. La quale richiede un territorio, una popolazione e un’organizzazione,
come scriveva Santi Romano. Da questi tre elementi fondamentali i primi due,
che costituiscono gli obiettivi “paganti”, non esistevano o erano così
minuscoli da non essere percepibili.
A differenza di Al Queda, l’ISIS intende
costituire un’unità politica; da qualche anno ha un territorio e una
popolazione anche se “fluttuanti e provvisori”, come gli altri movimenti
rivoluzionari; ha un esercito (pare di 80.000 uomini), delle finanze e
un’organizzazione di controllo territoriale. Proprio per questo è vulnerabile
agli attacchi e alle rappresaglie dei nemici. Qualche giorno fa curdi e yazidi
hanno riconquistato una città occupata dall’ISIS. Russi e francesi bombardano;
gli americani intervengono nel territorio uccidendone i capi (con i droni).
L’ISIS riconferma la norma di cui Al-Quaeda è
stata l’eccezione: un movimento rivoluzionario è, in nuce, un ordinamento: e di questo ha in forma labile, tutti gli elementi. I quali però
gli fanno perdere o attenuare il carattere dell’invulnerabilità totale (o quasi), e lo espongono alle relative
conseguenze sul campo.
In conclusione: la politica, diceva Lenin, non è
una festa da ballo. Sartre titolò opportunamente un bel dramma – politico – “Le
mani sporche”, a conferma di quel nesso tra politica e lotta (anche armata) che
costituisce una delle costanti della storia (e delle istituzioni).
Ma se il movimento terroristico si organizza,
acquisendo gli elementi (anche se labili) di uno Stato, il tutto ha un doppio
pregio: di aumentare la propria vulnerabilità – e con ciò le possibilità di
colpirlo, e così facilita la reazione bellica; e di poterci in prospettiva fare
la pace (che presuppone di poter garantire tale status con una propria organizzazione e su una popolazione e un territorio
certo).
Perché diversamente da quello che si legge sui
rotocalchi, il nemico “normale” è quello con cui si fa la guerra, ma anche la
pace.
Teodoro Klitsche de la Grange
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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