Parigi. Strage nel teatro,
kamikaze allo stadio
Ambasciatori, maestri e galera non bastano più
I morti non sono quasi tremila, come nel 2001, ma l’attacco
terroristico in piena Parigi, subito rivendicato dall’Isis, può essere
paragonato a quello alle Torre Gemelle. I tragici fatti di ieri sera, ultimi
di una catena di attentati anche in Medio Oriente, impongono una riposta forte, come quella degli Stati Uniti, allora. Con una variante: contro le basi del nemico vanno usate armi non convenzionali, in particolare, pensiamo al pendant tattico.
Il nemico si può sconfiggere solo
usando una forza militare superiore, che abbia due finalità in ordine scalare: 1) la deterrenza, che necessita però di una minaccia, fondata sull’esempio di un
precedente durissimo, meglio se terrificante; 2) la soppressione del nemico
stesso, quando proprio non vuole capire, mediante l’annichilimento militare.
Ne sarà capace la Francia , che pure dispone
della triade? E la belante Europa? Che già, dopo poche ore, stando alle varie
dichiarazioni, rispolvera il solito prudente approccio diplomatico, pedagogico e poliziesco: ambasciatori di buoni affari, maestri e galera... Sugli Stati Uniti di Obama - che pure potrebbero - sospendiamo il giudizio. Putin, invece, avrà sicuramente già preso in considerazione l' ipotesi. Ma è isolato. Qui invece occorre una grande alleanza politico-militare, come contro Hitler. Quanto alla Francia siamo
pessimisti. De Gaulle, avrebbe agito già
da tempo, altro che Hollande... Anche per evitare - non stiamo ironizzando - derive OAS. L’inevitabile, fai da te… La guerra civile… Ovviamente sul suolo francese. Ma sarebbe solo l'inizio. Hobbes docet.
Però, come non ricordare, nella gravità del momento, anche un vecchio leone come Winston Churchill, altro che Cameron.... Si legga il suo vibrante e realistico discorso a tutto campo del 13 maggio 1940, quando Hitler vinceva ovunque. Un capolavoro di buona retorica politica, ma soprattutto un
perfetto esempio dal punto di vista del senso della realtà e della comprensione
della pesanteur del politico. Nel senso - ci spieghiamo meglio - di pensare la politica,
politicamente. Insomma, di accettare le sue sfide, come quando il nemico ci indica come tali,
ignorando qualsiasi specie di nostra benevolenza. Ascoltiamolo:
«Non ho da offrirvi che sangue, sudore, fatica e
lacrime. La nostra politica è fare la guerra; nostra meta, la vittoria […]. Voi
mi domanderete: Ma, qual è la nostra politica? Io vi rispondo: batterci per
terra, in mare e in cielo. Guerra con tutta la nostra forza e tutto lo spirito
battagliero che Dio può infonderci. Batterci contro una tirannide mostruosa,
non mai superata nei tragici annali dell’umana criminalità. Questa è la nostra
politica. Quali i nostri scopi? Voi mi domandate. Posso rispondervi con una
sola parola: Vittoria, vittoria ad ogni costo, vittoria nonostante ogni
terrore; per lunga e dura che possa essere la strada; perché senza vittoria non
sopravviveremo. [...] Ma io m’assumo il
mio compito con baldanzosa speranza. Sono certo che la nostra causa non sarà
abbandonata dall’uomo. Ora è il momento in cui mi riconosco il diritto di chiedere
l’aiuto di tutti e dico: Su, dunque, marciamo tutti insieme unendo le nostre
forze» (*)
Ovviamente, il rischio è quello
della spirale. Che non va sottovalutato,
ma neppure enfatizzato. Del resto, siamo
in guerra. A brigante, brigante e mezzo.
Come hanno insegnato Charles de Gaulle e Winston Churchill.
Carlo Gambescia
(*) W. Churchill, Storia
della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1961, Vol. II, La loro ora più bella, pp. 36-37
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