La riflessione
Protezione-Obbedienza:
alla ricerca dell’endiadi
perduta…
di Giuliano Borghi
di Giuliano Borghi
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All’aurora
della Modernità, quelli che diverranno i nuovi cittadini moderni stipulano tra
di loro un preciso patto sociale, dopo aver convenuto che per regolare la loro
convivenza sociale e politica, non dovessero più ubbidire alla legge
dell’imperatore o a quella del Papa, ma unicamente ad una legge fatta da uomini
liberi per altri uomini liberi. E’ il tempo della autonomia della politica che
risponde solo al suo punto cardinale di intimazione: garantire ai cittadini
come condizione necessaria una sicura
protezione contro i nemici interni ed esterni e come condizione sufficiente una adeguata prosperità. Per questo, gli
uomini convengono nel patto con il quale si uniscono in società , di rinunciare
al loro individuale diritto naturale di vendetta e di resistenza, consapevoli
che conviene ad ognuno concedere il monopolio della violenza all’istituzione
che “ li fa stare”, Stato, potendo questo godere di apparati, polizia, giudici,
tribunali, di potenza di gran lunga superiore alla misura dell’individuo e
anche all’assieme delle forze dei singoli.
Il patto
politico ha termini inequivocabili: obbedienza , con la rinuncia al
naturale diritto di vendetta, quale
controparte obbligante della protezione Questa è la conditio sine qua non che stringe tra loro gli autori del patto stesso.
Un tale patto, disteso
sull’accettazione del rapporto comando-obbedienza,
ha vigenza unicamente se alla prestazione d’obbedienza dei cittadini fa
contraccambio la controprestazione della protezione e della prosperità da parte
dei governanti, se questi ,cioè, sanno garantire con le loro decisioni la salus populi.
Pertanto, o
l’organizzazione dei poteri pubblici assicura a tutti i settori sociali,
compresi quelli “genuinamente” più deboli, la protezione, con questo onorando il patto
sociale che le conferisce autorità, oppure lo contraddice, ponendosi con questo
al di fuori della decisione del patto sociale e perdendo a seguire ogni ragione
ad essere obbedita. In questa seconda ipotesi, finirebbe per innescarsi un
naturale processo di delegittimazione e la simultanea lievitazione di quel
legittimo “diritto di resistenza”, che il patto sociale implica e predica come
giusta azione di rivalsa e difesa contro ogni illegittimo autoritarismo. Con la
ri-appropriazione da parte del singolo del suo naturale diritto di vendetta.
Se rigettato, non per
sua colpa, ma per l’ignavia, l’ insipienza, o l’incapacità dei governanti in
quel disordine originario pre-statale, dal quale era uscito con il patto sociale,
l’individuo non potrebbe avere altra scelta se non quella di organizzare
legittimamente da sé la difesa di se stesso, utilizzando tutti i mezzi che gli
sarà possibile far propri.
Almeno fino a quando,
con un rinnovato patto politico, gli sarà dato di rientrare in quella Città,
dalla quale, suo malgrado, era stato costretto ad uscire.
Giuliano Borghi
(*) Si è qui considerata solo la prima condizione
del patto, quella necessaria della protezione. Per la seconda, quella della
prosperità, non meno vitale della prima, non mancherà più avanti l’occasione.
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Giuliano
Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha
pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la
filosofia della crisi. Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero
politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.
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