Teodoro Klitsche de la Grange recensisce per i lettori
di Metapolitics
l’ultima
fatica di Francesco Bucci
Scalfari,
“intellettuale
universale”o “dilettante”?
universale”o “dilettante”?
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Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L’intellettuale
dilettante, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2013, pp. 158, € 14,50 .
In questo volume che può dirsi anticipato nelle ultime pagine di quello precedente su Galimberti, l’autore fa le bucce a Scalari, facendolo precedere da una considerazione che illustra il carattere, il senso e il limite della critiche – non poche – rivoltegli: “Eugenio Scalfari è stato un grande direttore di giornale ed è tuttora un grande giornalista. I suoi editoriali di politica, di economia, di finanza, di costume sono esemplari per lucidità di analisi e chiarezza espositiva”.
Ma quando, circa
vent’anni fa, lasciò la direzione di “Repubblica”, ha iniziato un percorso
“nuovo e difficile … di trasformarsi in saggista e di occuparsi … dei massimi
sistemi”. Fatto sta che – scrive Bucci – ha iniziato a pubblicare un libro dopo
l’altro… “Libri con i quali si inoltra, con piglio gagliardo e passo sicuro a
dispetto dell’età, nei più vari campi del sapere: filosofia, letteratura,
storia, psicologia, arte, scienza”; “il guaio è, però, che di errori marchiani,
di spropositi e di veri e propri sproloqui abbondano anche i libri di ES,
nonché gli articoli nei quali egli, atteggiandosi a 'intellettuale universale',
si avventura in terreni che non gli sono congeniali”; e si può aggiungere
all’elenco anche contraddizioni. Non è possibile riferire tutti i campi dello
scibile - tanti – in cui l’occhiuta analisi dell’autore ha rilevato
le mende attribuite a Scalfari: la varietà dei temi affrontati dal
“fondatore” renderebbe questa recensione un trattato.
Ma un paio di
considerazioni specifiche occorre farle.
La prima è quella
connessa al lavoro di giornalista – e di grande direttore di giornale – di
Scalfari. Un giornalista è, fra le figure moderne, come sosteneva – tra gli
altri – Spengler, quella più vicina all’oratore, al retore dell’antichità. E
quali sono fine e metodo fondamentali della retorica? Perelman risponde; la
persuasione dell’uditorio, da realizzare, (principalmente) utilizzando
argomenti condivisi dagli ascoltatori. Se si va ad analizzare i passi di
Scalfari riportati da Bucci si nota che si basano in gran parte su idola
tribus condivisi solo (o prevalentemente) da un uditorio di sinistra e
in genere fedele ad un certo “tipo” (moderno) di opinioni condivise. D’altra
parte sarebbe impossibile fare dal nulla un giornale di successo che, non
dimentichiamolo, è una grande impresa che vive delle “rimesse” dei lettori, se
non se ne vellicassero le convinzioni.
Ma questo – che per
un giornalista è una dote – è spesso un limite decisivo per un pensatore: lo
riduce a correre appresso ai luoghi comuni, a dare risposte in modo (fin
troppo) prevedibile e spesso errato. A scambiare cioè l’originalità (e spesso
la verità) con il consenso.
La seconda è
l’analisi delle idee di Scalfari sulla morale: “Il fondamento della morale è l’
«istinto di sopravvivenza della specie», che è innato in ciascun uomo”. Solo un
istinto altrettanto forte e radicato dell’istinto di sopravvivenza
dell’individuo può infatti reggere “di fronte a una forza invincibile
dell’amore verso sé, alla radice saldissima dell’egoismo”.
A prescindere dalla
commistione tra natura ed etica e al problema che pone, ovvero di conciliare la
necessità con il libero arbitrio ed il dovere, quel che appare assai gracile di
questa concezione è non notare che ciò che induce al sacrificio dell’egoismo
individuale è l’appartenenza sociale, o meglio comunitaria. Un uomo può
arrivare – e arriva – al punto di morire e sacrificare il proprio interesse per
qualcosa di super-individuale, ma questo non è la specie umana o l’umanità,
ma la comunità politica (di solito, ma anche altri tipi di coesioni
sociali) cui appartiene.
Solo che le comunità
politiche esistono in uno stato di ostilità potenziale, che
spesso si trasforma in guerra. Cosa unica tra gli esseri viventi, in cui
l’aggressività intraspecifica si esercita in forme che non giungono
all’uccisione, tanto meno tra gruppi organizzati. Scriveva Proudhon che la
guerra è nell’essenza dell’uomo perché “l’idea di guerra involge, domina, regge
con la religione, l’universalità dei rapporti sociali. Tutto nella storia
dell’umanità, la suppone. Nulla si spiega senza di lei; nulla esiste senza di
lei: chi sa la guerra, sa il tutto del genere umano”.
E tanti altri hanno
scritto cose simili. Ma la guerra è potenzialmente (vedi quella atomica)
distruttiva dell’umanità e addirittura (forse) di gran parte della vita
animale. Del perché Scalfari non abbia notato che l’altruismo si ferma a
livello comunitario e si “esercita” a spese di altri gruppi umani, appare
chiaro: la negazione della guerra, della sua insopprimibilità, come
dell’ostilità e delle conseguenze della
contrapposizione amico-nemico è tra i capisaldi della modernità
utopistica, e delle aspirazioni relative. Che non è il caso di richiamare alla
realtà, ma è comodo ed opportuno cullarvisi dentro.
Teodoro Klitsche de
la Grange
Teodoro Klitsche de la
Grange è avvocato, giurista, direttore del
trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009).Funzionarismo (Liberilibri,
in stampa)
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