domenica 24 novembre 2013


La morte di Costanzo Preve
Costanzo Preve  (1943-2013)



Con la  morte di  Costanzo Preve  l’anticapitalismo  italiano, nelle sue varie tendenze politiche, perde il maggiore  protagonista. Nella prima metà degli anni Duemila ebbi  modo di seguirlo editorialmente come autore e al contempo frequentarlo come  uomo. E,  a un  decennio di distanza,  non posso non riconoscere l’eccellenza dell’uno e dell’altro.
Naturalmente, parliamo di un pensiero anti, e perciò come ogni antismo non  privo di chiusure, ovviamente  non ravvisabili  - anzi addirittura viste come meriti -  da coloro che ne condividevano e condividono  l’impostazione ideologica. Parliamo,  purtroppo,  di celebrazioni passive  che, soprattutto negli ultimi anni,  hanno  finito  per non favorire  uno sviluppo più  fecondo della sua  ricerca anche in altre direzioni.
All’epoca,  provai  a fargli scoprire (e  scrivere di)  altre cose.  Rammento, ad esempio,  la mia proposta  di mettere  mano a  un saggio sul  Marx di Gentile, da studiare  partendo dall’interpretazione di  Augusto Del Noce.  Preve lesse, compulsò e alla fine mi disse, con grande onestà, che voleva e poteva scrivere solo di quel  che conosceva a  fondo.
Ne ricordo anche la curiosità per la vita politica e culturale americana:  reputandomi un conoscitore,   mi chiedeva sempre informazioni  e  notizie,  con  una vivacità di pensiero e  un rispetto per gli  States assai lontani  da  certo rozzo antiamericanismo all’italiana.
Difficilmente dimenticherò le nostre lunghe discussioni  su un suo possibile  libro - da me consigliato - intorno al concetto di decadenza. Progetto, purtroppo, mai decollato.
Preve apprezzava  anche  la sociologia,  da lui correttamente  interpretata  come scienza dedita allo studio dell’ordine e del conflitto. Non eravamo però d’accordo su un punto metodologico  fondamentale. Per farla breve:  io ritenevo  le costanti sociologiche ( o metapolitiche) insopprimbili e, cosa più importante,   a prescindere dal tipo di società storica;  Preve invece credeva fortemente  nella  realizzazione di una società postcapitalista, capace di andare oltre il ciclo istituzione-movimento, o se si vuole conservazione-progresso. Inutile, qui, sottolineare la forte impronta  platonica, hegeliana, marxiana e lukácsiana, del suo pensiero.  E, di riflesso,  la sua  fede  nella  plasmabilità dell’uomo e  nel superamento -  ecco il  punto in discussione -   di qualsiasi ontologia sociale  ma  non  dell'ontologia, a prescindere da come egli la qualificasse, di  matrice  marxiana, che veniva perciò  usata al tempo stesso come  mezzo interpretativo e come  fine storico.
Il che  - sia detto con immutata  stima umana e  intellettuale -   confondendo realtà storica (come  "sono" le cose) e  valori (come "devono" andare)  non contribuiva né contribuisce  a sciogliere alcun nodo.  E non solo del pensiero previano.  
Caro Costanzo,  che la terra ti sia lieve. 


Carlo Gambescia 

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