mercoledì 20 novembre 2013


Stato e giustizia sociale
  




È tuttora molto diffusa l’idea che lo stato debba riparare alle  ingiustizie sociali.  Che, insomma,  il “politico” -  come potere sovra-ordinato condizionante e determinante  le  condotte dei sotto-ordinati -  debba  promuovere   un “certo” grado (massimo o minimo in base  alla tendenza politica dominante)  di  eguaglianza sociale  tra i cittadini.
Diciamo che si tratta di una concezione che non tiene conto di un fatto fondamentale. Quale? Che lo stato è un’ istituzione sociale, e come tale  tende ad autoriprodursi, soprattutto in assenza di ostacoli.  E quanto più lo si sovraccarica di compiti e funzioni, spesso forzando la costituzione,  tanto più diventa  potente e invasivo. Di regola, come insegna la sociologia,   la concentrazione del potere statale, quale moderna incarnazione del "politico",  diventa  massima  in caso di guerra, crisi economica, eccetera,  per tornare  minima  appena le condizioni  si  normalizzano. 
Ciò significa  che  la ricerca della giustizia sociale - ovviamente, non è qui in discussione  l’eguaglianza davanti alla legge  - rischia di  facilitare l’asservimento del  libero cittadino allo stato.  In che modo?  Con il richiamo,  per l'appunto,  a una condizione di emergenza.  Quale?  Ripristinare  l’eguaglianza sociale  tra i cittadini. Cosicché, evocando  un’ emergenza rettificatrice, ma ipotetica perché  priva della data... di scadenza,  si finisce per moltiplicare, di fatto,  il potere delle burocrazie civili  e in certa  misura  militari perché in "guerra" per  edificare " un mondo più  giusto".  
Bisogna allora rinunciare all’idea di giustizia sociale? Secondo alcuni la si dovrebbe addirittura  incalzare fino al conseguimento della  meta finale: la “liberazione” dell'intera umanità.  Secondo altri, perseguirla, evitando saggiamente gli eccessi  burocratici. Infine, per altri ancora, si dovrebbe considerare la giustizia sociale un mito al servizio di furbe e opprimenti burocrazie  e perciò  respingerla,  lasciando che ogni uomo sia  libero  artefice del proprio destino. 
Nel primo caso si precipita nell’utopia; nel secondo si spera nel “buon senso” dell’uomo, sottovalutando però  il “mal senso" delle istituzioni;  nel terzo si confida, per alcuni forse troppo, nella potenza creativa  della libertà umana.

C' è altro da aggiungere? No.  Hic sunt leones.  

Carlo Gambescia

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