È tuttora molto diffusa l’idea che lo
stato debba riparare alle ingiustizie sociali. Che, insomma,
il “politico” - come potere sovra-ordinato condizionante e determinante
le condotte dei sotto-ordinati - debba promuovere
un “certo” grado (massimo o minimo in base alla tendenza politica
dominante) di eguaglianza sociale tra i cittadini.
Diciamo che si
tratta di una concezione che non tiene conto di un fatto fondamentale. Quale?
Che lo stato è un’ istituzione sociale, e come tale tende ad
autoriprodursi, soprattutto in assenza di ostacoli. E quanto più lo si
sovraccarica di compiti e funzioni, spesso forzando la costituzione,
tanto più diventa potente e invasivo. Di regola, come insegna la
sociologia, la concentrazione del potere statale, quale moderna
incarnazione del "politico", diventa massima in
caso di guerra, crisi economica, eccetera, per tornare minima
appena le condizioni si normalizzano.
Ciò significa
che la ricerca della giustizia sociale - ovviamente, non è qui in
discussione l’eguaglianza davanti alla legge - rischia di
facilitare l’asservimento del libero cittadino allo stato. In
che modo? Con il richiamo, per l'appunto, a una condizione di
emergenza. Quale? Ripristinare l’eguaglianza sociale
tra i cittadini. Cosicché, evocando un’ emergenza rettificatrice,
ma ipotetica perché priva della data... di scadenza, si finisce per
moltiplicare, di fatto, il potere delle burocrazie civili e in
certa misura militari perché in "guerra" per
edificare " un mondo più giusto".
Bisogna allora
rinunciare all’idea di giustizia sociale? Secondo alcuni la si dovrebbe
addirittura incalzare fino al conseguimento della meta finale: la
“liberazione” dell'intera umanità. Secondo altri, perseguirla, evitando
saggiamente gli eccessi burocratici. Infine, per altri ancora, si
dovrebbe considerare la giustizia sociale un mito al servizio di furbe e
opprimenti burocrazie e perciò respingerla, lasciando che
ogni uomo sia libero artefice del proprio destino.
Nel primo caso si
precipita nell’utopia; nel secondo si spera nel “buon senso” dell’uomo,
sottovalutando però il “mal senso" delle istituzioni; nel terzo
si confida, per alcuni forse troppo, nella potenza creativa della libertà
umana.
C' è altro da
aggiungere? No. Hic sunt leones .
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento