Nulla di nuovo
sotto
il sole
Il Cavaliere è
“finito” o no? Dalla lettura degli editoriali apparsi ieri sui
principali quotidiani italiani sembra prevalere, pur con toni diversi (anche
accesi nei titoli), un atteggiamento di cautela: dai più
accaniti nemici, armati di machete (Il Fatto, “l’Unità” , “la Repubblica ” ) ai nemici
in guanti gialli ( “Corriere della Sera”, “La Stampa ”,
"Messaggero", "Avvenire") fino ai descamisados
berlusconiani (“il Giornale”, “Libero”, Il Foglio, “Il Tempo”).
Ovviamente, semplifichiamo...
Però l’impressione è che i timori dei nemici (
di una improvvisa risurrezione) e le paure degli amici ( dell’eterno
riposo anticipato) abbiano contribuito, mescolandosi insieme, a
reprimere qualsiasi grido di gioia o rabbia per la débâcle
del Cavaliere. Il che spiega pure le piazze viola e
azzurre, tutto sommato sparute e silenti, come del resto la compostezza,
con qualche eccezione, dei senatori in Aula.
Diciamo quindi
che la cautela è d’obbligo. Un grande direttore del passato, Mario
Missiroli, se redivivo, parlerebbe di “vigilia dell’incertezza”
(attenzione, non " nell' " ma "dell' ") ...
Berlusconi, nonostante l'età, non pare disposto alla resa, neppure davanti, come si vocifera, a un mandato di arresto. Tuttavia, la congiuntura politica non pare favorevole al Cavaliere: le elezioni politiche a breve, in cui spera, non sono gradite al Quirinale. Almeno fino a quando non sarà varata una nuova legge elettorale, sulla quale per ora non c'è alcun accordo tra destra e sinistra.
Berlusconi, nonostante l'età, non pare disposto alla resa, neppure davanti, come si vocifera, a un mandato di arresto. Tuttavia, la congiuntura politica non pare favorevole al Cavaliere: le elezioni politiche a breve, in cui spera, non sono gradite al Quirinale. Almeno fino a quando non sarà varata una nuova legge elettorale, sulla quale per ora non c'è alcun accordo tra destra e sinistra.
Probabilmente
la decadenza di Berlusconi prolunga ma non rende più
facile il cammino del Governo. Napolitano vuole una verifica parlamentare
per favorire la nascita di un nuova maggioranza senza Forza Italia. Ma,
quanto potrà sopravvivere un Letta bis aggrappato al Quirinale e al pugno
di voti, politicamente costosi, degli alfaniani? Senza dimenticare la
scelte, di sicuro non simpatetiche, del segretario Pd
prossimo venturo: come noto, sia Renzi che Cuperlo, sebbene per
ragioni diverse, non vedono di buon occhio l'ascesa di Letta
e quindi la sopravvivenza del Governo.
Siamo in alto mare.
Perciò si andrà avanti alla giornata, sperando nei venti favorevoli, non così
vicini, della ripresa economica. Nulla di nuovo sotto il sole rispetto
alla routine post 1945. Purtroppo, a
differenza di quel che scrive un editorialista di destra
innamorato oltre che di se stesso dei barocchismi storici (per
stupire "colleghi" più ignoranti di lui), l'Italia di oggi non
ha nulla a che spartire con la crisi della "Roma
tardorepubblicana" . Quella discendeva da un' imponente processo
plurisecolare di crescita politica e sociale, innescato dalle
Guerre puniche, questa, invece, deriva da una pura e semplice
campagna di delegittimazione politica, scatenata da alcuni magistrati
politicamente ispirati, e meno che ventennale. E Sallustio, che egli
cita senza avere letto, se non su Wikipedia, ne aveva
perfettamente intuito (Ferrabino docet ), anche per
condizione personale, l'innovativo significato storico.
Carlo Gambescia
***
A proposito di
"delegittimazione" politica...
di Teodoro Klitsche
de la Grange
Nell’overdose di
dibattiti sulla decadenza di Berlusconi, quasi tutti incentrati, specie da
sinistra – ma non solo – sulla legalità o meno della vicenda, n’è risultato
quasi del tutto assente l’aspetto politico principale. Che non è quello, caro
ai causidici di mano sinistra, della legalità, ma delle conseguenze politiche
di una tale decisione. Con le quali si deve intendere,
alzando il tiro della analisi, quali conseguenze
politico-istituzionali – anche a medio termine – può avere una decisione del
genere.
Se fosse vero che il
diritto ha sostituito la politica, tale domanda non avrebbe senso: ma dato che
non ci risulta che questa sostituzione sia avvenuta, malgrado gli auspici di
qualche costituzionalista da rotocalco, è lecito porsela.
È successo tante
volte nella storia – anzi è la regola dei cambiamenti di regime e/o
costituzione – che a un potere legale subentri un potere
che legale non è; di guisa che, per così dire, l’illegalità è
il vero motore del cambiamento.
Maurice Hauriou e
Santi Romano (il secondo ancor più del primo) si erano posti il problema – solo
per citare i giuristi; ma è chiaro che questo è implicito nella teoria della
successione delle forme di governo, da Aristotele a Machiavelli, nell’ascesa e
decadenza delle èlites politiche di Pareto e Mosca e risparmiamo al lettore
tutti coloro (tanti) che se ne sono occupati. Per cui se è vero che un governo
(un atto, una condotta o quant’altro) è legale se conforme alle norme
sostanziali e procedurali stabilite, ma non è detto che i “sudditi” (e anche
altri) accettino tale legalità e che debbano consentire a un potere perché
legale.
Tanto per ricordare
un esempio – tra quelli della storia moderna, oltretutto ampiamente “trattato”,
il maresciallo Pétan fu legalmente eletto Presidente della
Repubblica francese nel giugno 1940, e forse all’epoca aveva pure il consenso
della maggioranza dei cittadini. De Gaulle oppose subito che egli e i suoi
francesi liberi erano il pays réel, cioè la Francia reale,
Pétain e i “vichissois” quella legale. Ma dato che, in meno di tre anni il
maresciallo perse il consenso della maggioranza, e l’unico esercito francese
combattente realmente era quello del generale de Gaulle, il presidente legale della
Francia si ridusse a comandare in un castello tedesco, prima di subire un
(brutto) processo in Francia.
Ora se l’Italia,
come scritto nella Costituzione, è una democrazia e il popolo è sovrano,
che qualcuno (magistratura o senato che sia) decida di escludere
dal Parlamento un senatore regolarmente eletto, e che ha il consenso
di circa un terzo dei votanti, significa in primo luogo, che quel Parlamento
perde gran parte della sua rappresentatività, perché un Parlamento
privo del capo dell’opposizione è un organo che fa della rappresentanza (meglio
della rappresentatività) una burla: come quelli che, mantenuti dalle varie
dittature del secolo scorso, ma rigidamente monopartitici, avevano soprattutto
la funzione di “plaudire al Duce” (o al Führer o al Gensek) e non di
rappresentare il pluralismo delle opinioni e degli interessi presenti nel
paese, come nelle democrazie liberali; ciò non toglie che fossero “legali”.
Tuttavia erano così
impossibilitati a costruire un vero strumento d’integrazione, e più
precisamente di quella che un altro acuto giurista come Smend chiamava integrazione
funzionale, la quale si realizza attraverso procedure che consentono la
sintesi sociale e che “mirano a rendere comune un qualsiasi
contenuto spirituale o a rafforzare l’esperienza vissuta della
comunanza”.
Per cui la prima e
più importante conseguenza politica non è, come pensano i causidici (tutti
contenti) - di aver “applicato la legge” - ma più semplicemente che è stato, da
e con quella votazione, delegittimato e depotenziato il
Parlamento; si è allargato il cuneo, già notevole, tra legalità e legittimità.
Si comincia così e si finisce magari con la constatazione della (totale)
inutilità di poteri legali non sostenuti da consenso legittimante.
E come diceva
Talleyrand, politicamente questo “è peggio di un crimine, è un errore”.
Errore che purtroppo
stiamo pagando e pagheremo tutti e non solo chi l’ha commesso.
Teodoro Klitsche
de la Grange
Teodoro Klitsche
de la Grange è avvocato, giurista, direttore del
trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (Liberilibri, in stampa)
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