Le 28 mila copie di
Fabio Volo
e i cliché della critica
e i cliché della critica
Sulle 28 mila
copie vendute da Fabio Volo in una settimana (*) la critica, come sa
magnificamente fare, storce il naso, anche attraverso il furbo silenzio-dissenso.
Ma pure i pochi a favore spartiscono con la tribù dei
nasi arricciati una sola cosa: la pigrizia. Perché gli uni e
gli altri - se vogliamo evitare le solite banalità stile laurea
triennale in editoria - condividono un vecchio pregiudizio sociologico
per nulla convincente: che alfabetizzazione e scolarizzazione conducano
alla costante lettura di libri, e che quest’ultima, sia sempre
fonte di virtù e pace.
Intanto, la curva
ascendente delle guerre dal Quattrocento ad oggi, studiata a fondo da Pitirim
Sorokin, non sembra confortare la tesi pacifista. Inoltre, dalla
nascita della stampa a caratteri mobili, i lettori hanno sempre
preferito, al netto dei mutamenti tecnologici, l'aurea
mediocritas del piacevole intrattenimento e del facile
apprendimento, senza porsi troppe remore intellettuali e morali.
Per scoprirlo basta sfogliare qualsiasi storia dell’editoria, dove è
possibile constatare la marcia lenta e sicura di almanacchi,
libelli politici e religiosi, raccolte di fatti straordinari, libretti
piccanti e vite di santi, manuali professionali, romanzi
d’appendice, rosa, gialli, horror e così via fino ai best seller
dei nostri giorni. E che c'era e c'è di male?Nulla.
Tuttavia un
tempo, al riguardo, si parlava di letteratura popolare, opponendola alla colta:
per alcuni studiosi si trattava del primo stadio evolutivo
verso il trionfo finale della civiltà letteraria; per altri
invece di una disgustosa sopravvivenza tribale, difficile però da
contrastare; per altri ancora dell’autentica anima dei popoli, patrimonio
da difendere e incrementare. In tutti e tre i casi si
pretendeva però di sapere ex
cathedra quale
fosse il bene del lettore.
Perciò, quando si
critica o si approva il successo di Fabio Volo, i cui best seller
funzionano perché incarnano l'aurea mediocritas del
lettore medio, si continua a ricorrere ai cliché
della critica positivista e/o romantica. Di qui, il peccato
di pigrizia… In realtà, invece di demolire o nobilitare la
sua poetica, ci si dovrebbe interrogare su coloro che non leggono
neppure i libri di Fabio Bonetti ( in arte Volo) da Calcinate (
Bergamo). Insomma, sui potenziali lettori che,
nonostante le ondate di scolarizzazione pubblica, si rifiutano di
aprire un libro... Che sono maggioranza, e non solo in Italia.
Avanziamo un’
ipotesi: che il piacere della lettura (colta, popolare e via dicendo…)
sia qualcosa di innato? Un dono di pochi? Proprio come
la virtù?
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento