Venezia affonda
di Carlo Pompei
Abbiamo seguito con
"rassegnato" interesse l'evoluzione della kermesse cinematografica
veneziana. Ne parliamo a qualche giorno dalla conclusione per non
lasciarci influenzare dai giudizi a caldo ed evitiamo le polemiche lette qua e
là su Bertolucci, la settantesima edizione, il fatto che in tale ricorrenza
doveva per forza vincere un film italiano, passerelle, star e starlette, etc.
Qualche frecciatina, però...
Partiamo, quindi,
dall'idea di cinema e del suo rapporto con il cugino nobile, il teatro.
"Fare cinema" oggi è formalmente più facile, ma sostanzialmente più
difficile, vedremo dopo perché, mentre "fare teatro" ha mantenuto
immutate le difficoltà tipiche di una rappresentazione dal vivo, che comporta
sempre una responsabilità immediata e diretta. È più probabile che venga chiesto
il rimborso del biglietto a teatro o ad un concerto, non tanto perché dal
cinema escano tutti soddisfatti, ma perché sapere che gli autori, gli attori e
i cantanti sono nei pressi - come dire, anche a portata di
“cazzotto” - ci autorizza psicologicamente a farlo.
Ma che cosa potrebbe
indurre uno spettatore a chiedere il rimborso?
Vediamo insieme.
Innanzitutto diciamo
che è più semplice dire alle persone quel che vogliono ascoltare, a prescindere
dalla loro reazione emotiva, tenendo sempre presente che far ridere
intelligentemente è molto più difficile che far piangere stupidamente.
Pensiamo ad un
"cinepanettone" o a un filmetto per quindicenni, noteremo che l'ago
della bilancia si sposta sull'asse qualità-quantità: se l'obiettivo è il
botteghino, non abbiamo scelta, qualche battuta greve e pruriginosa, qualche
situazione da primo bacio tradito e il gioco è fatto.
Sul fronte opposto
troviamo la cinematografia impegnata radical-chic della quale devi per forza
parlar bene, altrimenti, come direbbe Paolo Villaggio, sei fuori del salotto
della contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare... Per questi
motivi i giudizi di critica e di pubblico sono spesso contrastanti e il
gradimento è inversamente proporzionale in funzione della qualità e della
platea di riferimento, anche perché gli spettatori pagano, mentre i critici
cinematografici non pagano, anzi spesso mangiano un tramezzino, bevono un
aperitivo, assaggiano due patatine e ricevono in regalo l'ennesima pendrive usb
da 2gb contenente il comunicato stampa e il materiale fotografico per scriverne
ogni bene. Spettacolo ai limiti del decoro quello che ruota intorno alle
cosiddette attività culturali interpretato da questi pseudo
intellettuali onnipresenti dagli occhiali con la "montatura
rossa". E il Lido non ha costituito eccezione.
Allora torniamo a
Venezia.
"Sacro
GRA", il film risultato vincitore, in realtà è un documentario che sfrutta
l'emozione popolare di pasoliniana memoria. Sulla base di ciò proviamo ad
immaginare una platea-tipo che assiste alla proiezione. Un minuto di
raccoglimento. Bene, ci siamo capiti. No? Allora ci spieghiamo. Se conosciamo
quella realtà, paghiamo un biglietto per vederla? Se non la conosciamo, ci
interessa veramente? Se sì, ci interessa per quale motivo? Curiosità,
morbosità, derisione? Oppure siamo alla ricerca dell'ennesimo mercato da
sfruttare?
Paolo Villaggio, con
i suoi personaggi, gli indimenticabili Fracchia e Fantozzi,
ha già dato al cinema quanto e più di Pasolini, ma, nonostante le sue
simpatie politiche, viene relegato nell'ambito della comicità, poiché quello è,
semplicisticamente, il traino.
Gli spaccati
sociologici che ne fuoriescono, invece, disturbano chi in quei personaggi ci si
riconosce, mentre divertono chi, per età o estrazione sociale, non conosce quel
mondo reale di oppressi, repressi, frustrati ed aguzzini cialtroni ed
ignoranti.
In sintesi, se
parliamo, scriviamo, recitiamo, cantiamo, dobbiamo avere qualcosa da dire,
altrimenti, nella migliore delle ipotesi, produciamo inutile documentazione
fine a se stessa. Fellini, per scomodare l'anticonformista per antonomasia, può
non piacere, ma è innegabile che fosse un visionario che imponeva le proprie
storie con coraggio. Viaggi onirici trasformati in pellicole memorabili, alcune
più alcune meno, ma sempre originali. Oggi, invece, piace lo stile didascalico.
È gradito sia agli autori/produttori che ai fruitori, poiché non costituisce
rischi per i primi e dà sicurezza illusoria ai secondi, ma equivale a pensare
che i Beatles dovessero cantare "Papaveri e papere" della pur
bravissima Nilla Pizzi, poiché lo stile musicale in voga era quello, oppure che
Caravaggio nei suoi quadri dovesse utilizzare più colori e meno luce a
contrasto, come facevano i suoi contemporanei.
Il cinema moderno
ha, poi, un altro problema che è legato ai supporti di registrazione, stesso
problema che affligge la musica, la fotografia e la televisione.
Un piccolo
capolavoro in proposito è rappresentato da "Boris", la serie
televisiva parodistica sul mondo delle fiction, che recupera le figure fantozziane
della pubblica amministrazione e le proietta rielaborate nel televisivo
parastatale o privato.
Poter girare e
scattare migliaia di impressioni e registrare su supporti magnetici evoluti a
costo zero, ha tolto poesia e professionalità: è sempre più raro un "buona
la prima", si produce una quantità impressionante di materiale, ma
paradossalmente a scapito della qualità e le eccezioni si contano sulle dita di
una mano.
Per ovvi motivi,
nelle rappresentazioni teatrali o nei concerti dal vivo questi problemi vanno
risolti a monte con immediato beneficio della qualità e della professionalità,
anche perché, come dicevamo all'inizio, si rischia di persona...
Carlo Pompei
Carlo Pompei, classe
1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né
scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica,
impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed…
ebanisteria “entry level”.
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