Il libro della settimana: Adriano Olivetti, Democrazia senza partiti,
introduzione di Stefano Rodotà, Edizioni di Comunità (in
collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti) 2013, pp. 77, Euro 6,00.
http://www.edizionidicomunita.it/democrazia-senza-partiti/ |
Il pensiero di
Adriano Olivetti, imprenditore, industriale e riformatore politico è una
specie di Gardaland delle idee. Un mega-parco “a temi”, dove
socialismo pluralista, liberalismo sociale, democrazia diretta,
riformismo illuminato, pur essendo ideologicamente giustapposti, confluiscono
in un utopico progetto di stato federale, quale comunità di
comunità: un mega-parco per l'appunto, all'interno del quale il
cittadino potrà finalmente passare da un "tema" all'altro
senza accorgersene e in perfetta letizia. Questo in teoria... Perché in
pratica il comunitarismo come esclusivo denominatore sociale,
storicamente non funziona, se non a livello di micro-gruppi
sociali, spesso chiusi e armati gli uni contro gli
altri. Per non parlare, sul piano macro, dei nazionalismi
esasperati stile Novecento e dei sanguinosi fondamentalismi contemporanei.
Sotto questo profilo
Adriano Olivetti, resta un uomo dell’Ottocento pronto a fare
a pugni con la realtà pur di cambiare il mondo. Del suo pensiero, comunque
ricco e intrigante, ci siamo già occupati qui: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/search?q=adriano+olivetti .
Che dire allora di Democrazia senza partiti (Edizioni di Comunità)?
Innanzitutto che si tratta di un volume del 1949, uscito con un titolo diverso
e molto più ambizioso: Fini e
fine della politica .
Titolo che al posto dei curatori avremmo lasciato invariato.
Proprio per non tirare la volata ai non pochi fautori
dell’antipolitica, oggi come ieri, strepitanti davanti
a Montecitorio.
Perché “fini e
fine” della politica? Secondo Olivetti i “fini” della politica sono
così alti - ecco battere il suo cuore di riformatore sociale - che
confinarla esclusivamente all’interno dei partiti - ecco il tratto
antiparlamentare più che antipolitico del suo pensiero - può condurre alla
“fine” della politica, trasformandola in pura e semplice dialettica degli
egoismi partitici, e non importa se ideologici o meno.
Su questa elevata
visione della politica, e in fondo dell’uomo, si innesta il
progetto comunitario di Olivetti. Come accennato, il punto centrale del
suo pensiero ruota intorno a un preciso assioma. Quale? Che l’uomo
comunitario sia migliore dell’uomo politico, dell’uomo economico, dell’uomo, se
si vuole, “sezionale”.
Si tratta di una
concezione che dal punto di vista antropologico è un puro e semplice atto di
fede. Da quello del realismo politico un
miraggio. E sotto l’aspetto economico un pericoloso e costoso
abbaglio. E non perché, per contrasto, l’uomo
politico, economico o con qualsiasi altro tipo di aggettivazione sia perfetto.
Ma per la semplice ragione che non esistono, presi per se stessi, uomini
comunitari, politici, economici, eccetera. Esiste l’uomo
senza aggettivi che purtroppo, di regola, è lupo all’uomo.
Ovunque. Fingere di non saperlo - o peggio ignorarlo - può
essere molto pericoloso. Soprattutto quando si pretende di
ricordare a memoria ciò che sia bene per l’altro. Per Olivetti
sappiamo che il sommo bene è rappresentato dalla comunità, per
altri dal socialismo, per altri ancora dal liberismo, e così via.
Siamo davanti a pure e semplici petizioni di principio. E
purtroppo, per riprendere Max Weber, la strada che porta
all’inferno è quasi sempre lastricata con l’etica delle
(buone) intenzioni.
Carlo Gambescia
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