giovedì 12 settembre 2013


Il libro della settimana: Adriano Olivetti, Democrazia senza partiti, introduzione  di Stefano Rodotà,  Edizioni di Comunità (in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti) 2013, pp. 77, Euro 6,00.


http://www.edizionidicomunita.it/democrazia-senza-partiti/



Il pensiero di Adriano Olivetti, imprenditore, industriale  e riformatore politico è una specie di Gardaland delle idee. Un mega-parco  “a  temi”,  dove  socialismo pluralista, liberalismo sociale, democrazia diretta, riformismo illuminato, pur essendo ideologicamente giustapposti, confluiscono  in  un utopico progetto di stato federale, quale  comunità di comunità:  un mega-parco per l'appunto, all'interno del quale il  cittadino potrà finalmente  passare da un "tema" all'altro senza accorgersene e in perfetta letizia.  Questo in teoria... Perché in pratica  il comunitarismo come  esclusivo  denominatore sociale,  storicamente non funziona,  se non a livello di  micro-gruppi sociali, spesso chiusi e  armati  gli  uni contro gli  altri. Per non parlare, sul piano macro,  dei  nazionalismi esasperati stile Novecento  e dei sanguinosi  fondamentalismi contemporanei.   
Sotto questo profilo  Adriano Olivetti, resta   un uomo  dell’Ottocento pronto a fare a pugni con la realtà pur di cambiare il mondo. Del suo pensiero, comunque ricco e intrigante, ci  siamo già occupati qui:  http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/search?q=adriano+olivetti .
Che dire allora di Democrazia senza partiti (Edizioni di Comunità)?  Innanzitutto che si tratta di un volume del 1949, uscito con un titolo diverso e molto più ambizioso: Fini e fine della politica .  Titolo che al posto dei curatori  avremmo lasciato invariato.  Proprio per non  tirare la volata ai non pochi fautori dell’antipolitica,  oggi come ieri,   strepitanti  davanti a Montecitorio. 
Perché  “fini e fine” della politica?  Secondo Olivetti  i “fini” della politica sono così alti  - ecco battere il suo cuore di riformatore sociale - che confinarla esclusivamente all’interno dei partiti - ecco il tratto antiparlamentare più che antipolitico del suo pensiero - può condurre alla “fine” della politica,  trasformandola in pura e semplice dialettica degli egoismi partitici, e non importa se ideologici o meno.
Su questa elevata  visione della politica,  e in fondo dell’uomo,  si innesta il progetto comunitario di Olivetti. Come accennato,  il punto centrale del suo pensiero ruota intorno a un preciso assioma. Quale?  Che l’uomo comunitario sia migliore dell’uomo politico, dell’uomo economico, dell’uomo, se si vuole,  “sezionale”. 

Si tratta di una concezione che dal punto di vista antropologico è un puro e semplice atto di fede.  Da quello del realismo  politico un  miraggio.   E sotto l’aspetto  economico un pericoloso e costoso  abbaglio.   E non perché,  per contrasto,  l’uomo politico, economico o con qualsiasi altro tipo di aggettivazione sia perfetto. Ma per la semplice ragione che non esistono, presi per se stessi,  uomini comunitari,  politici,  economici, eccetera. Esiste l’uomo  senza aggettivi  che purtroppo, di regola,  è lupo all’uomo.  Ovunque.  Fingere di non saperlo - o peggio ignorarlo -  può essere  molto pericoloso. Soprattutto quando si pretende  di  ricordare a memoria ciò che sia bene per l’altro.  Per Olivetti sappiamo che il sommo bene  è rappresentato dalla  comunità, per  altri dal socialismo, per altri ancora dal liberismo,  e così via.  Siamo davanti a pure e semplici petizioni di principio.  E purtroppo,  per riprendere Max Weber,  la strada che porta all’inferno è  quasi sempre  lastricata  con  l’etica delle  (buone) intenzioni.       

Carlo Gambescia

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