impossibile di Papa
Francesco
Abbiamo divorato
l’intervista di Papa Francesco a "La Civiltà Cattolica "
(ripresa integralmente qui: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/intervista-papa-civilta-cattolica.aspx
). Che dire? Innanzitutto che non possediamo gli strumenti teologici per
discuterne sotto il profilo “tecnico". E quindi dovremo sorvolare su
tale aspetto. In secondo luogo che abbiamo ammirato la
conoscenza e l'apprezzamento del pensiero altro,
laico, rivelati dal Santo Padre: basta scorrere i nomi citati e gli
esempi fatti (addirittura dalla Turandot di Puccini). Ovviamente, anche
altri aspetti della sua figura hanno colpito la nostra attenzione, ma
preferiamo soprassedere.
Quel che però ci
preoccupa è la forte tensione sociologica irrisolta ( o
meglio apparentemente risolta, ma nella direzione più scivolosa) che
attraversa tutta l’intervista, tra la Chiesa come
istituzione e la Chiesa come movimento. Ben esemplificata nei
passi che seguono:
«Io vedo con
chiarezza [...] che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di
curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la
prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una
battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli
zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il
resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in
piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo
annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono
innanzitutto essere ministri di misericordia […]. I ministri del Vangelo devono essere persone
capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro,
di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza
perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato.
I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con
pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma
anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade».
«Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte
aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è
capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è
andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni
che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole
audacia, coraggio».
«
«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio»
«Gli insegnamenti,
tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale
missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una
moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo
missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona
e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus.
Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale
della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la
freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più
semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le
conseguenze morali».
Ora, dal punto di
vista sociologico, il forte accento posto sul Vangelo non
potrà non produrre elementi di tensione, o peggio di rottura, fra la Chiesa-Movimento
( “ospedale da campo”) e la Chiesa-Istituzione (“edificio
morale”). Semplificando, fra i sostenitori dell’etica dei valori e i
seguaci dell’etica della responsabilità. Si tratta di conflitti
inevitabili perché sociologicamente presenti in tutti i gruppi sociali. E
che vanno saggiamente gestiti dalle gerarchie esistenti per evitare il
dissolvimento delle istituzioni in cui i gruppi sociali - altra costante
- non possono non “addensarsi”. Detto in breve: è
vero che non si vive di solo pane, ma di pane ci si deve pur nutrire...
Riuscirà Papa Francesco, come si legge, a trovare un nuovo equilibrio tra
innovazione e conservazione? A che prezzo? Dal momento che il
Santo Padre sembra confidare troppo nella forza innovatrice della
Chiesa-Movimento e poco in quella conservatrice della Chiesa-Istituzione?
Il rischio sociologico, come si intuisce , è quello di non fermarsi in
tempo provocando altre gravi fratture religiose e sociali. Di qui,
riteniamo, la missione (quasi) impossibile di Papa
Francesco.
Naturalmente, come
indica "il tra parentesi", da credenti,
speriamo di sbagliare...
Carlo Gambescia
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