Provocazioni
Le società possono
fare a meno dei ricchi?
Che il pauperismo
nelle sue versioni marxiste o postmarxiste disprezzi la
ricchezza non è una novità. Quindi le dichiarazioni di Vendola
non sono particolarmente originali ("I super-ricchi devono
andare al diavolo”http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2013/01/04/Monti-18-conferenza-stampa-simbolo-lista-_8026652.html ).
Ora, lasciando
da parte la questione di pura lana caprina della distinzione tra
ricchi e super-ricchi, poniamoci una domanda squisitamente
sociologica: le società possono fare a meno dei ricchi in quanto
tali? No, perché la ricchezza, come elemento di
distinzione sociale, ha sempre svolto due ruoli fondamentali.
Il primo rinvia alla
ricaduta sociale della ricchezza come modello emulativo e consensuale; il
secondo rimanda alla ricchezza come veicolo economico di aggregazione e
crescita del lavoro umano. Insomma, per farla breve, il ricco che
investe e reinveste, si qualifica come un modello
positivo capace di favorire la coesione sociale attraverso
la riproduzione di reddito e lavoro .
Pertanto, l’avarizia
non paga… Ciò spiega perché il "ricco-avaro", quale
figura priva di funzione sociale, non abbia mai goduto di
buona fama. Sotto questo aspetto le esplosioni di violenza sociale,
quando non fomentate dalle ideologie pauperiste, sono il frutto
velenoso dell’avarizia. Detto altrimenti: dell’uso
antisociale e antieconomico della ricchezza.
Pertanto il vero
punto della questione, non è spedire ricchi e super-ricchi all’inferno,
immaginando impossibili società degli eguali, ma far sì che la ricchezza svolga
un ruolo sociale. Che, insomma, non si trasformi
in avarizia. E a chi spetta “controllare” che ciò avvenga? Allo
Stato? Alle Chiese? Ai Parlamenti? Ai Sindacati?
Non esiste
una ricetta storica e sociologica precisa. Anche
perché gli studi sulla curva di distribuzione dei redditi (inaugurati da
Pareto) mostrano una notevole continuità storica o comunque la lentissima
trasformazione ( in primis, nei secoli moderni e in Occidente)
della piramide dei redditi in “fiasco” sociale. Ciò significa che il vertice
della piramide si è allungato, trasformandosi nel collo di una bottiglia
che ha però visto la propria pancia (il ceto medio) ingrandirsi e il fondo ( i
meno abbienti) ridursi. Parliamo però di lievi
sommovimenti, rispetto
al trend secolare dei redditi;
increspature delle onde sociali amplificate, per ragioni
ideologiche, dai teorici della società del benessere e minimizzate, per gli
stessi motivi, dai suoi detrattori. Il che spiega, tra l'altro,
l' inconcludente dibattito tutto ideologico sul trionfo finale
o sulla imminente caduta del ceto medio.
Cosa vogliamo dire? Due cose. La prima, che non è possibile incidere radicalmente sulla struttura sociale della ricchezza; la seconda, che i ricchi “servono” perché forniscono un modello sociale capace di stimolare i più intelligenti e ambiziosi e al contempo creare lavoro e benessere diffuso. E dove, come nella Russia comunista, si è tentato di trasformare la piramide in cilindro che cosa si è ottenuto? Di aprire la strada alla più spietata forma di dittatura statale, che una volta caduta, paradossalmente, ha visto riemergere dalle torbide e tempestose acque sociali del mondo post-sovietico l'aguzza punta della piramide…
Cosa vogliamo dire? Due cose. La prima, che non è possibile incidere radicalmente sulla struttura sociale della ricchezza; la seconda, che i ricchi “servono” perché forniscono un modello sociale capace di stimolare i più intelligenti e ambiziosi e al contempo creare lavoro e benessere diffuso. E dove, come nella Russia comunista, si è tentato di trasformare la piramide in cilindro che cosa si è ottenuto? Di aprire la strada alla più spietata forma di dittatura statale, che una volta caduta, paradossalmente, ha visto riemergere dalle torbide e tempestose acque sociali del mondo post-sovietico l'aguzza punta della piramide…
Che fare allora?
Nulla. Probabilmente è preferibile lasciare che ogni società si confronti
con la ricchezza e l'avarizia secondo la propria cultura. Evitando
però di tirare il collo alla gallina dalle uova d’oro.
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