Dibattiti
Relativizzare
il relativismo
Il relativismo
prima che scienza è arte sociologica (in
senso nisbetiano) molto difficile da praticare, perché richiede
grande equilibrio e capacità di prendere le distanze da tutti: assolutisti
e relativisti. Ma come evitare di farsi travolgere dal fiume
in piena delle passioni sociali? Si pensi che
perfino Max Weber, grandissimo pensatore sociale, si
logorò tutta la vita intorno allo spinoso tema del relativismo
ammalandosi di nervi.
Intanto, chiunque
desideri scoprire e "verificare empiricamente" difficoltà,
ambiguità e mitemi del relativismo può leggere qui:http://www.leparoleelecose.it/?p=7419#comment-57896 .
Dedicando particolare attenzione, più che al mediocre post d’avvio,
al notevole dibattito, dove il nostro Roberto Buffagni, a
spada sguainata, torreggia. Ma entriamo in argomento.
Che cos’è il
relativismo? E’ una visione del mondo che affonda le radici intellettuali
nelle antilogie dei sofisti: due argomentazioni pubbliche, differenti e
opposte sullo stesso argomento, per mostrare come la “verità” sia sempre
relativa e mai assoluta.
Che valore sociale
può avere una verità relativa? L'esatto contrario di una verità
assoluta. Nel senso che la relatività di una verità, presentata come opinione,
dovrebbe indurre a relativizzare la propria e rispettare,
comprendendone le ragioni, chi eventualmente
sostenga la tesi opposta. Quindi niente estremismi,
niente scomuniche e soprattutto niente violenza.
Abbiamo usato il
condizionale (“dovrebbe”). Perché? Se dal valore sociale (il dover essere)
passiamo al valore sociologico (l’essere), o se si preferisce al “come
vanno le cose realmente", ci accorgiamo subito che in realtà il
relativismo si muove tra i poli dell’indifferenza e
dell’assolutizzazione delle diverse posizioni “relative”. E quando
avviene il passaggio dall’indifferentismo all’assolutismo (e viceversa)?
Quando sono in gioco fattori distributivi e ridistributivi dei diversi poteri
sociali (politico, economico, culturale, religioso). Semplificando al massimo:
quando sono in discussione dominio, prestigio, ricchezza, ossia valori di
status. Ci spieghiamo meglio: a parità di status (o quasi) i diversi
attori sociali, privilegiano l’indifferenza: essere pro o contro qualcosa,
nulla toglie nulla aggiunge; per contro, dove lo status è in discussione,
la competizione implica l’assolutizzazione: essere pro o contro può
aggiungere o togliere molto.
Ciò spiega perché
anche in società come la nostra, dove il relativismo sembra essere
un valore sociale, su alcuni temi, si passi, talvolta
repentinamente, dall’indifferenza all’assolutismo (e viceversa).
Si dirà, perché
allora non sopprimere, una volta per tutte, i conflitti di status? In
effetti, nella Russia comunista tentarono... Battute a parte,
il problema è che la società, sociologicamente parlando, implica la
competizione e varie tipologie "scalari"
di conflitto, come del resto le forme opposte della
solidarietà e della cooperazione. Perciò è vero che in linea di
principio gli uomini non vedono di cattivo occhio la
regolazione dei conflitti di status. Ma, ecco il punto,
la stessa regolazione (chi regola chi?), implica nuovi
contrasti distributivi, e così via… Quindi, a causa delle
dinamicità del "fatto sociale" (in continua discrasia con
la "norma sociale"), anche l'indifferenza non
può non essere relativa e provvisoria.
Concludendo,
il relativismo, almeno sul piano sociologico, va relativizzato.
Carlo Gambescia
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