mercoledì 23 gennaio 2013

MERCOLEDÌ, GENNAIO 23, 2013

Di Luigi Einaudi si diceva che i suoi articoli sempre chiari e alla portata di tutti, fossero ritagliati e conservati religiosamente da professori di liceo, studenti, professionisti, commercianti e farmacisti. Insomma, la base elettorale di quel partito liberale di massa mai nato in Italia ( ma questa è un’altra storia…). Perciò non abbiamo provato stupore quando  Raffaele Siniscalchi (*), dottore in  farmacia,  ci ha inviato un interessante articolo di sapore einaudiano.  Ecco la riprova,  abbiamo pensato,  che   Luigi Einaudi è da sempre  nel Dna dei  farmacisti...
Comunque sia, l’argomento di cui tratta, soprattutto in un periodo in cui molti confondono  il  liberismo con il liberalismo,  è di strettissima  attualità.  Di qui la nostra decisione di pubblicarlo.  Buona lettura. (C.G.)




Liberali e liberisti
di Raffaele Siniscalchi

Einaudi, se ci si passa la battuta, era un “liberalista” convinto, non un liberista! La diatriba intrapresa con colui che rappresentò il suo mentore, Benedetto Croce, fu epica. Infine si arrese, non per convincimento ma per il rispetto dell’altrui pensiero e per  timore  dell’inevitabile confusione che sarebbe susseguita nella politica economica dell’epoca.
Chi si professa liberista dovrebbe confrontarsi con le idee “liberaliste” di Einaudi. E’ facile far confusione. Un conto è essere liberisti, altro -  battute a parte -  definirsi liberali!  Oggi tutti, o quasi tutti, si dicono liberali e parlano sempre di liberalismo e liberismo, senza sapere di che si tratta e contraddicendosi nei fatti.
Nel 1948 Einaudi scriveva sul “Corriere della sera” un elogio della “libertà dell’uomo comune” professando la tesi che la libertà politica debba procedere di pari passo con la libertà economica. Anzi essa – la libertà economica – " è la condizione necessaria della libertà politica.” Dal momento che “vi sono due estremi nei quali sembra difficile concepire l’esercizio effettivo, pratico, della libertà: all’un estremo tutta la ricchezza essendo posseduta da un solo colossale monopolista privato; ed all’altro estremo dalla collettività. I due estremi si chiamano comunemente monopolismo e collettivismo: ed ambedue sono fatali alla libertà “.
I principi, di cui ho sinteticamente dato un accenno, furono ampiamente dibattuti con Benedetto Croce in una discussione cominciata in era fascista e terminata a guerra finita nel 1949. Ognuno restò sulle sue posizioni.
Croce, filosoficamente, riteneva l’uomo libero di pensare e scegliere, sempre e comunque. Anche di fronte a scelte di vita o di morte per sé o i suoi affetti (la sottomissione o la morte è pur sempre una scelta, ma non è vita!).
Einaudi, invece, estraneo all’idealismo filosofico, sentiva la scelta obbligata come un’offesa alla dignità dell’uomo, un’immoralità , frutto di una sudditanza del libero arbitrio.
Forse i due avrebbero dovuto meglio definire quelli che ritenevano dovessero essere i confini della “libertà dello spirito” e quali quelli della “libertà dell’individuo”. Tuttavia nel 1928, ne “La Riforma Sociale”, Einaudi accettò la tesi di Croce secondo il quale il liberismo è un concetto inferiore e subordinato a quello più ampio di liberalismo.
Einaudi etichettava come liberisti “coloro i quali accolgono la massima del lasciar fare e del lasciar passare quasi fosse un principio universale. Secondo costoro, l’azione libera dell’individuo coinciderebbe sempre con l’interesse collettivo” .
Molti anni dopo, nel 1941, precisò meglio che il liberismo non dovesse essere il “lasciar fare”, ma l’intervento dello Stato che fissa i limiti entro i quali il privato può muoversi, eliminando gli ostacoli burocratici, atti a impedire il funzionamento della libera concorrenza. Senza tuttavia consentire che la libertà fornita possa, per quelle forze naturali sprigionatesi da essa, ostacolare lo stesso processo competitivo.
Quindi diversificò il concetto interventista statale (comunista) dal liberista, esso “non sta nella 'quantità' dell’intervento, bensì nel 'tipo' di esso (…) Il legislatore liberista dice invece: io non ti dirò affatto, o uomo, quel che devi fare; ma fisserò i limiti entro i quali potrai a tuo rischio muoverti”.
Einaudi era consapevole che liberismo e liberalismo non sempre collimano. Il primo riferentesi a quella dottrina economica caratterizzata dalla valutazione negativa dell’intervento statale nell’economia, il secondo, invece, basato sull’affermazione e la rivendicazione di un nucleo di diritti individuali inalienabili a fondamento di ogni convivenza civile.
Ai primi posti tra i diritti individuali sono stati posti, nella nostra Costituzione, il lavoro, il diritto alla salute e quello all’istruzione. E non necessariamente in quest’ordine, avendo tutti pari dignità.
Oggi alcuni economisti provano a stabilire una classifica di priorità nella scala di valori della vita sociale. Eppure lo stesso Croce affermò che “chi deve decidere non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo l’accumulamento dei mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, che questi siano beni e ricchezza, se tutti non si pieghino a strumenti di elevazione umana”.
Se, nell’attuale clima politico, coloro che saranno chiamati a legiferare liberalizzeranno i processi produttivi nell’interesse del cittadino, ponendo precisi limiti al “lasciar fare” dei “padroni del vapore”,  come al contrario vorrebbero i gruppi economici di potere, e slegando i lacci e laccioli burocratici che bloccano lo sviluppo, allora l’Italia potrà pensare di risollevarsi dalla crisi in cui versa.
Concludendo: liberali sì, liberisti no. O comunque, sempre con giudizio.

Raffaele Siniscalchi

(*) Raffaele Siniscalchi  è  figlio  di insegnanti elementari.  Eclettico e autodidatta con molteplici interessi, coltiva l'hobby della fotografia e la passione per moto e motori. Come ripiego dall'esclusione nel concorso in Aeronautica Militare, si iscrive alla Facoltà di Farmacia (Università degli Studi di Camerino), dove si laurea nel 1989. Direttore e poi titolare di farmacia dal 1991 in un piccolo paese garganico in prossimità del Lago di Varano.

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