martedì 22 gennaio 2013

Analisi
I "candidati incandidabili" 



Si può ricavare una lezioncina  di sociologia dalla questione dei cosiddetti “candidati incandidabili”?  Certamente.
Secondo la legge italiana (almeno per ora)  non è candidabile chiunque riporti condanne definitive (in ultimo grado di giudizio), tutti gli altri (sospettati, inquisiti, condannati nei primi due gradi) non dovrebbero essere esclusi.
Per quale ragione  abbiamo usato il condizionale? Perché da un lato abbiamo un principio elevatissimo, o se si preferisce un grande valore:  la presunzione di innocenza (fino a sentenza di colpevolezza passata in giudicato), dall’altro un fattore sociologico fondamentale: la pressione sociale, o se si preferisce dell’opinione pubblica; pressione che spesso, come sta  accadendo,  prova di  valere  più di un  principio, anche il più nobile.  Ciò spiega il nostro “non dovrebbero essere esclusi”.
Pertanto, la  lezione di sociologia consiste in una semplicissima constatazione: che la rappresentazione sociale di un certo individuo  può avere la meglio sui  principi. Detto altrimenti:   la società (che si "ciba" di  rappresentazioni)  usa  spesso  vendicarsi  di chi intenda cambiarla sforzandosi di tradurre  in legge  i grandi principi, come  quello della presunzione di innocenza, recepito dall'attuale legge elettorale.   Di conseguenza i  valori  hanno autentica rilevanza o  effettività sociale soltanto quando rispecchino in qualche misura  la volontà costante dell’opinione pubblica.

Insomma,  la sociologia insegna che  la volontà sociale è più forte delle leggi. Di qui l'importanza della effettiva  traduzione sociale di qualsiasi valore o principio. Anche il più alto. 
Che poi l’opinione pubblica, che di volta in volta se ne fa interprete, possa essere manipolata o autentica, è un’altra storia…  E in ogni caso è  questione che in ultima istanza rinvia alla volontà politica.   

Carlo Gambescia

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