Il libro della settimana: Fabrizio Battistelli, Maria Grazia
Galantino, Livia Fay Lucianetti, Lorenzo Striuli, Opinioni sulla guerra.
L’opinione pubblica italiana e internazionale di fronte all’uso della forza,
pref. del Gen. D.CC. Eduardo Centore, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 190, euro
23,00 -
Durante la lettura di Opinioni sulla guerra (Franco Angeli)
il nostro pensiero è andato a Machiavelli e Hobbes. Chissà, ci siamo
chiesti, se tornassero tra noi, cosa direbbero di uno studio sociologico che,
pur con tutte le giuste cautele della cultura liberaldemocratica e scientifica,
si muove nell’alveo del moderno realismo politico, così caro ai due padri
fondatori. Di sicuro, ci siamo risposti, ne
parlerebbero bene... E per quale ragione? Facile. Perché il presupposto
del libro è che la guerra, come strumento di regolazione, anche se in
ultima istanza, dei rapporti internazionali, difficilmente potrà essere
espunta dalla storia umana. Di qui, crediamo, la necessità, ben intravista
dagli autori, di estendere lo studio della eventualità guerra alle
società civilizzate (o «postmoderne»), analizzando in particolare le relazioni
tra guerra e opinione pubblica. Detto altrimenti: tra una costante politica,
nel senso di Miglio ( o metapolitica, come ben sanno i nostri lettori) e una
istituzione - l’opinione pubblica - che rinvia allo
storicamente mutevole, ossia alle nostre società liberaldemocratiche.
Diciamo che il matrimonio euristico tra ciò che è costante e ciò che è
contingente è perfettamente riuscito, perché
il volume è ben organizzato, ricco di importanti
materiali di riflessione da cui attingerebbero a piene mani anche
Machiavelli e Hobbes. Ma veniamo alla sua struttura.
Alla vivida Prefazione del generale Centore, direttore del
Centro Militare di Studi Strategici (CeMISS), nel cui quadro operativo si
colloca la ricerca, segue un Primo capitolo introduttivo: “Atteggiamenti,
opinioni e uso della forza” (Fabrizio Battistelli). Dove sostanzialmente si
enuclea un problema fondamentale. Quale? Quello del collegamento, ineludibile
nelle società democratiche, tra uso della forza all'esterno e consenso
interno dei cittadini. Tema poi sviluppato, in chiave storica, sociologica
e concettuale, sempre da Battistelli nel Secondo capitolo (“I fattori sociali e
le opinioni sulla guerra”): un' avvincente analisi da
cui emergono due riflessioni interessanti: la prima, che nella
società postmoderna, semplificando al massimo, l’individuo-narciso,
ripiegato sui propri crescenti desideri, finisce per scorgere, ambiguamente,
nel conflitto bellico per un verso un limite esistenziale, per l’altro un
importante strumento di difesa dello stile di vita; la seconda
riflessione, è che tra le sei condizioni per la legittimazione della guerra,
individuate da Battistelli, risultano particolarmente significative quelle
riguardanti l'efficacia. ossia la brevità del conflitto e la
minimizzazione delle perdite umane. Due fattori (microdurata e
microperdite) assolutamente in sintonia con i desideri profondi
dell’individuo-narciso : guerra sì, ma breve e incruenta, per vie aeree e
combattuta da specialisti e con tecnologie all' avanguardia. Come è
avvenuto, e brillantemente sul piano militare, in occasione della crisi libica
del 2011 ( tra l’altro oggetto di uno "studio di caso" nel Quarto
capitolo). Alla fin fine, si potrebbe anche dire, piaccia o meno,
che il male, ovvero la guerra, per essere accettato dal
cittadino-narciso debba essere banalizzato... O detto
altrimenti: reso familiare e sicuro e perfino scontato
nei suoi esiti di natura burocratica e utilitaristica.
Nel Terzo capitolo si entra in argomento: “Americani,
europei italiani: che cosa pensano dell’uso della forza” (Fabrizio
Battistelli). I sondaggi sembrano confermare la nota tesi del «divario
transatlantico», poi sviluppata da R.A. Kagan: che i cittadini statunitensi
sono più bellicosi di quelli europei. Gli italiani in particolare sembrano in
larga parte preferire la trattativa al conflitto, con percentuali non bulgare
ma comunque elevate. Qui Battistelli, da eccellente specialista di
sociologia militare, riprende e introduce una interessante distinzione
tra minaccia, pericolo e rischio. Dietro la minaccia c’è l’intenzionalità
umana, come nel caso di un attacco militare; alle spalle del pericolo c’è
invece l’ «intenzionalità zero», come nel caso di un terremoto; il rischio,
infine, si pone a metà strada, perché per un verso rinvia all’ intenzionalità
umana, per l’altro agli esiti negativi o non voluti che possono sempre
scaturire dall' azione sociale intenzionale. E qui si pensi ad eventi
come Chernobyl. Fukushima, ecc. Ora, sotto questo aspetto, se abbiamo capito
bene, le indagini mostrano che dove gli americani scorgono una minaccia, gli
europei sono portati a vedere un rischio (qualcosa a metà strada tra minaccia e
pericolo). Di qui, le diverse modalità di reazione.
Nel Quarto e Quinto capitolo sono indagati “L’uso della
forza secondo l’opinione pubblica di Italia, Francia, Svezia Regno Unito e
Stati Uniti” (Livia Fay Lucianetti) e nei paesi “Bric, Brasile Russia,
India, Cina” (Lorenzo Striuli ). Il quadro generale dei due capitoli
racchiude conferme e sorprese. Da un lato è confermato, rispetto al
Cowboy americano, il maggiore pacifismo di Svezia, Italia, e detto per inciso,
Germania, anche se nel libro i nipotini di Goethe
non sono oggetto di analisi particolare; più
contenuto invece il pacifismo di francesi e britannici
dall’altro. Inoltre per cavarcela con una battuta, il fate l’amore e non
fate la guerra, sembra avere maggiori simpatizzanti tra russi, brasiliani,
indiani. Più sfumata e meno tranquillizzante la posizione dell’opinione
pubblica cinese che sembra accettare - eventualità condivisa anche dagli
analisti americani - la possibilità nei prossimi lustri di un conflitto
sino-americano.
Chiude il volume l’ eccellente saggio di Maria Grazia
Galantino “Sulle questioni di metodo nella ricerca sull’opinione pubblica”,
dove si dà spazio anche alla possibilità - da noi condivisa - di scorgere
nell’uso dei sondaggio un importante strumento da impiegare - magari
senza esagerare - nei processi di decisione e gestione della
politica. Infine, va ricordato il ricchissimo
apparato statistico che correda Opinioni sulla Guerra: al lettore il piacere di
scoprirlo, navigando tra tabelle di
grande chiarezza concettuale e grafica.
Un’ultima osservazione: è possibile condividere le
conclusioni di Fabrizio Battistelli? Ovviamente, dobbiamo però prima
però riportarle:« Complessivamente - osserva lo studioso - pur caute nell’uso
della forza, le opinioni pubbliche europee (compresa quella italiana) sono
disposte ad accettare questa extrema ratio, quando è in gioco, a tacere della
sopravvivenza della propria nazione, la tutela dei diritti umani». Ciò,
continua Battistelli «dà vita a un processo di convergenza il quale, oltre che
all’interno dei vari paesi europei, investe anche il rapporto con gli Stati
Uniti, la cui opinione pubblica mostra atteggiamenti abbastanza simili.
Sembrerebbe quindi che, all’inizio del secondo decennio del nostro secolo il
“divario transatlantico”, sia largamente ricomposto».
Cosa aggiungere ? Che probabilmente il processo di
convergenza sembra legato non tanto (o comunque non solo) a ragioni
interne, quanto a questioni esterne, vincolate, a loro volta, per dirla con
Carl Schmitt, al consolidarsi o all’emergere di
un comune nemico. E da qui a dieci-venti anni (se non prima),
Stati Uniti e Unione Europea potrebbero avere solo
l'imbarazzo della scelta...
Carlo Gambescia