Le riviste della settimana: “Krisis”, La Guerre ? n. 33, avril 2010,
pp. 258. euro 23,00 - "Krisis“, La Guerre ? /2, n. 34, juin 2010,
pp. 294, euro 25,00; "Empresas
Políticas", fascicolo su Gaston Bouthoul, n. 13, 2° semestre 2009, pp. 184
euro 16,00.
http://www.alaindebenoist.com/pages/krisis.php http://www.sepremu.es/index.php |
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Non c’è che dire, “Krisis”,
rivista diretta da Alain de Benoist, vizia i suoi lettori: ogni nuovo fascicolo
supera per qualità il precedente. Non vanno perciò perduti gli ultimi due
numeri dedicati alla guerra.
Nel primo (La Guerre ?, “Krisis” n. 33,
avril 2010, pp. 258. euro 23,00 ), si affronta il fenomeno in
chiave teorica. Vanno ricordati, tra gli altri, i contributi di Jean Haudry (La guerre dans le monde indo-européen préistorique),
Alain de Benoist (Le héros et les “péches
du guerrier” e Violence
sacrée guerre et monothéisme), Gabrielle Slomp (Cinq arguments de Carl Schmitt contre l’idée de
“guerre juste”), Costanzo Preve (La
lutte des classes: une guerre des classes?). Seguono alcuni testi
classici in argomento di Julien Freund, Ludwig Gumplowicz, Gaston Bouthoul e
Carl von Clausewitz.
Nel secondo fascicolo (“La Guerre ? /2, “Krisis, n. 34,
juin 2010, pp. 294, euro 25), oltre a fornire ulteriori
approfondimenti teorici, come ad esempio nell’ ottimo contributo in apertura di
Hervé Coutau-Bégarie (A quoi sert la
guerre?), l’analisi entra nel vivo delle questioni internazionali.
E qui, tra gli altri, vanno segnalati i saggi di Alain de Benoist (Le retour de la France dans l’OTAN), Georges-Henri
Bricet des Vallons (Privatisation et
mercenarisation de la guerre. La révolution de la “génétique” des forces armées
américaines), Jean-Claude Paye (Un
épisode de la “guerre contre le terrorisme”: les échanges financiers sous
surveillance impériale).
In definitiva lo scopo che si propongono i due fascicoli è di studiare
scientificamente la guerra al fine di mitigarne gli effetti distruttivi. Si
parte perciò da un preciso presupposto, sicuramente non pacifista, ma neppure
“guerrafondaio” : che la guerra sia una forma specifica di controversia
socio-politica e che “pace” significhi solo assenza di guerra. Di qui
l’importanza dell’antico detto, ben compreso da Romani, si vis pacem, para bellum ("se
vuoi la pace, prepara la guerra"): perché pace e guerra sono eventi
collegati e ricorrenti, stante la natura “pericolosa” dell’uomo. Il che implica
la necessità di “pensare la guerra”, ossia di considerarla un’eventualità
sempre incombente e alla quale prepararsi.
Abbiamo già accennato a Gaston Bouthoul (1896-1980), insigne sociologo e
fondatore nel 1945 dell’ “Institut Français de Polémologie” (dal greco pólemos, guerra, ). Ora, l’importante
rivista spagnola di politologia “Empresas
Políticas”, diretta da Jerónimo Molína, professore di Politica
Sociale presso l’Università della Murcia, ha dedicato oltre metà del suo ultimo
fascicolo al grande polemologo francese, oggi quasi dimenticato ( n. 13, 2° semestre 2009, pp. 184 euro 16,00 ).
Fra i contributi, tutti notevoli, ricordiamo quelli di Piet Tommissen (En torno alla polemología), Myriam
Klinger (La revista “Études Polémologiques”
1971-1990), Vincent Porteret (El “Tratado
de polemología” de Gaston Bouthoul y el análisis sociológico de las guerras),
Julien Freund (La obra de Gaston Bouthoul),
Utilissima, infine, l’impeccabile bio-bibliografia curata da Jerónimo Molína.
A Gaston Bouthoul si deve infatti una sociologia della guerra, capace di
analizzare l’evento bellico come “fatto sociale totale”. Ossia quale evento
psicologico, biologico e culturale, secondo la lezione di Tarde, Worms e Mauss.
In questo senso, per Bouthoul la guerra è espressione della società (come
plurale insieme di forze) e non della politica (quale esito della “decisione”
di “fare” la guerra), come invece ritiene la “sacra” triade
Clausewitz-Freund-Schmitt.
Siamo perciò davanti a un bellissimo confronto tra Bouthoul e tre “luminari”
della guerra. Quel che però li unisce è la capacità di “pensare” la guerra
senza demonizzarla. Del resto la guerra, per parafrasare un famoso detto, è una
cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei pacifisti…
Carlo Gambescia
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