Il libro della settimana: Stefano De
Rosa, Vico precursore della nuova storia. Tre secoli di visioni
geo-temporali , Edizioni Settimo Sigillo 2010, pp. 208, 8 tavole a
colori fuori testo, euro 18,00.
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Giambattista
Vico anticipatore dello strutturalismo? Di una corrente di pensiero che deifica
le strutture e azzera l’uomo ? Il cui tardivo e floscio frutto è rappresentato
dalla teoria della "megamacchina” di Serge Latouche? Dove, sia detto per
inciso, non si capisce come possano individui, ridotti a rotismi, recuperare la
libertà... Del resto sarebbe inutile interrogarsi, dal momento che lo
strutturalismo considera la libertà individuale un optional: se la "struttura" (o
"megamacchina") la "produce" tanto meglio, altrimenti la
storia verrà comunque “fatta” dalle “strutture”, per forza propria. Di
riflesso, il mutamento storico viene riassorbito all’interno di una continuità
strutturale e sistemica, dove passato, presente, futuro si mescolano come nella
famigerata notte hegeliana.
Si tratta di un approccio che ritroviamo regolarmente nelle varie correnti
strutturaliste: dalla nuova storia di Braudel al neo-marxismo di Althusser e al
neo-freudismo di Lacan; dall’ “archeologia del sapere” di Foucault
all’etnologia strutturale di Claude Lévi-Strauss. E perfino nella teoria del
catastrofi di René Thom basata sull’idea di un matematico “caos ordinato” .
Su questo riflettevamo leggendo l’interessante libro di Stefano De Rosa, Vico precursore della nuova storia. Tre secoli di
visioni geo-temporali (Edizioni Settimo Sigillo 2010, pp. 208, 8
tavole a colori fuori testo, pp. 208, euro 18,00). Infatti l'autore, studioso
di questioni socio-storiche, rivendica apertamente la natura strutturalistica
del pensiero di Vico. Ma lasciamo la parola all’autore:
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“In questa ricerca si esaminano alcune
influenze che gli studi vichiani hanno proiettato su due autorevoli e
prestigiose scuole sconti fiche del ‘900 - le Annales e la Teoria delle catastrofi
(…). Proprio il tempo, difatti - dalla lunga durata braudeliana (…) alla storia
dell’immaginario e delle mentalità, centrale negli studi delle Annales e della
Nouvelle histoire; dalle discontinuità di tempo spazio e forme oggetto di
analisi da parte della Teoria delle catastrofi, al tempo vichiano arricchito da
elementi psicologici e collettivi attraverso l’irruzione del tempo vissuto
nella storia, le diverse velocità e scarti temporali propri del processo di
civilizzazione dell’umanità -, costituisce l’imprescindibile fattore che
accomuna studi ed esperienze metodologiche solo apparentemente distanti” .
.
Riesce De Rosa a vincere la sfida? Sì. Ma a
un prezzo piuttosto alto: quello dell'anacronismo. Un limite , purtroppo,
sempre in agguato in tutti i lavori costruiti intorno all' ipotesi (tipicamente
positivista) del "precursore" della "scienza moderna".
Soprattutto quando tra il possibile "padre" e gli eventuali
"figli" corrono troppi secoli... Un solo esempio: il concetto di
tempo, su cui De Rosa concentra la sua pur notevole analisi delle
"anticipazioni", non è l’aevum (il
tempo sacro, dei chierici) ma il tempus
(il tempo umano, dei laici). Quest'ultimo però è un concetto presente nella
teoria della storia di Braudel e non di Vico. Di qui l'anacronismo. Perché,
detto in parole povere, Vico mantiene gli occhi sempre rivolti verso il cielo,
Braudel guarda solo in terra. Quindi tra i due non può esservi ponte. Vico, le
"continuità-discontinuità" storiche le rimette nelle mani di Dio, Braudel
in quelle degli uomini.
Purtroppo l'approccio di De Rosa ricorda
quello di Giuseppe Ferrari, curatore della prima edizione completa delle opere
vichiane (1836-1837) e propugnatore dell'applicazione della matematica allo
studio della storia (sua è la teoria delle quattro generazioni). Il quale, da
buon positivista risorgimentale, fu sul serio "pre-strutturalista"
senza saperlo, soprattutto quando di se stesso, come storico e filosofo,
diceva: " In traccia dell'uomo libero trovai l'uomo macchina".
Ferrari ne Gli scrittori politici italiani (1862), interpretando in
chiave di temporalità profana il concetto vichiano di “storia ideale eterna” e
ponendo l'accento sulle tre età consecutive (degli dei, degli eroi, degli
uomini), si lasciò andare a un'osservazione per l’epoca molto acuta:
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"Una volta sottoposti [da Vico] ad una
medesima legge tutti i pontefici, tutti gli imperatori; considerata ogni
rivoluzione come un fenomeno spontaneo, la politica diventa arte non dell’uomo
ma della natura, non è più concesso ad alcun Romolo di fare o disfare gli Stati
a piacimento, e nessun Redentore può ostare oramai al corso della Storia
sottratta per sempre alle metafisiche chimere del libero arbitrio” .
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Insomma, Ferrari aveva perfettamente intuito
come in Vico vi fossero innegabili "germi" strutturalisti, ma
pagando, come è accaduto anche a De Rosa, un prezzo piuttosto elevato: quello
di oscurarne la "metafisica" ma cattolicissima filosofia della
storia. O se si vuole, di scorgere qualche alberello ma non l'intera e vigorosa
foresta.
Stringendo, cosa vogliamo dire? Che, pur
ammettendo la massima libertà interpretativa, va preso atto che esiste un Vico,
sicuramente più in sintonia con il cattolicesimo e con il concetto di aevum. E quindi distante anni luce
dallo strutturalismo. Ma anche da quel prescrittivo ottimismo profano che
aleggia nella rarefatta atmosfera del parigino Musée de l'Homme.
Perciò come contraltare al libro di De Rosa,
consigliamo la lettura del G.B. Vico.
Fenomenologia della storia, del linguaggio e dello stato (1980) di
Rocco Montano. Un fine filosofo che ha saputo riportare, altrettanto
dottamente, il concetto vichiano di “storia ideale eterna” nel giusto alveo
della temporalità sacrale cristiana. E di conseguenza ha presentato Vico come
un “critico in anticipo della sociologia e dell’ etnologia strutturaliste”.
Discipline - secondo Montano - che “quando pretendano di oltrepassare il loro
carattere descrittivo e statistico” rischiano di sostituirsi in chiave
brutalmente naturalistica a una Provvidenza, giudicata da Vico come la vera e
unica “cagione” delle cose temporali: lungo una scala che va dal tempus all'aevum, per trascendere infine in quell 'aeternum, già preannunciato e incluso
nella definizione vichiana di "storia ideale eterna". Altro che la
storia, sicuramente interessante, ma profana di Braudel...
Concludendo, Vico precursore della nuova
storia merita sicuramente di essere letto. Ma con “juicio” e
tenendo a portata di mano il G.B. Vico
di Montano.
Carlo Gambescia
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