Il libro della settimana: Claudio
Finzi, Europa Occidente Americhe. Saggi di geofilosofia politica, Edizioni Settimo
Sigillo 2009, pp. 112, euro 11,00.
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Si fa presto a dire Occidente. In realtà si
trascura un fatto molto importante: che gli interessi geopolitici tra Europa e
Stati Uniti non sempre coincidono. Per non parlare delle diversità culturali,
sociali, economiche e politiche. Ma le cose non vanno meglio sul piano dell’
“auto considerazione”: gli Stati Uniti, continuano a ritenersi, per dirla con
Ralph Waldo Emerson, un “paese di giovanotti”. Mentre l’Europa, secondo l’
amara profezia di Paul Valéry, sembra ormai immaginare se stessa come “un
piccolo promontorio del continente asiatico”.
A chiunque desideri riflettere su un accoppiamento così poco giudizioso si
consiglia la lettura dell’ultima fatica di Claudio Finzi, Europa Occidente Americhe. Saggi di geofilosofia
politica (Edizioni Settimo Sigillo 2009, pp. 112, euro 11,00) .
L’autore è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche
nell’Università degli Studi di Perugia. E tra l’altro, al tema, ha dedicato in
passato un altro notevole volume, Gli
Indios e l’impero universale. Scoperta del’America e dottrina dello Stato
(Il Cerchio Iniziative Editoriali).
Finzi, a differenza di alcuni suoi colleghi, ha il dono della sintesi. E’ un
“professore” che sa scrivere in modo agile ed elegante. E così in cinque densi
ma chiari capitoli va alla radice di una questione fondamentale. Quale? Che “
non siamo stati noi europei a volerci distinguere dall’America anglosassone, ma
loro a dichiararsi radicalmente diversi dall’Europa” .
Sotto questo aspetto è particolarmente importante il secondo capitolo. Dove
passando in rassegna tre pensatori statunitensi (Kirk, Huntington, O’Meara) si
evidenzia come il tema dell’ “identità americana” sia legato, soprattutto nei
primi due, alla considerazione, tutta statunitense, dell’ ”eccezionalità delle
istituzioni” politiche americane. Di qui il senso di sdegnosa superiorità rispetto
all’Europa, ma anche il grande timore di non poter conservare per sempre la
supremazia. Timore che accomuna i tre autori esaminati, anche se con toni e
modalità differenti. E il timore - attenzione - è già un segno di decadenza.
Ma non sono da meno anche agli altri capitoli. Anzi va sottolineato, che pur
trattandosi di una raccolta di saggi ( con un solo capitolo inedito, quello
dedicato ad Amerigo Vespucci), l’organicità del volume non ne risente, perché
si legge d’un fiato.
Ricordiamoli brevemente. Nel primo capitolo (Europa
e Occidente) si spiega come “la parola Occidente” non sia “nata per
unire Europa e America in un più ampio contesto atlantico, bensì, al contrario,
per prendere le distanze dal vecchio Continente” . Del secondo già abbiamo
detto. Nel terzo capitolo (Tre
colonizzazioni), si dicono cose illuminanti sui tre modelli
principali di colonizzazione del continente americano : il francese, l’inglese,
lo spagnolo. Scrive Finzi:
.
“Del primo poco si parla eppure fu, a mio
giudizio il migliore; quello nel quale europei e pellirosse avrebbero potuto
convivere senza la morte di uno dei due. Il secondo ci mostra uno scontro, nel
quale la distruzione dell’altro fu proclamata senza quartiere e senza pietà;
giustificata come missione divina o come ineluttabile funzione del progresso.
Diversa l’esperienza spagnola; stimolati anche dall’avere incontrato civiltà di
maggiore organizzazione e organismi politici quali i grandi regni azteca e
inca, gli spagnoli si trovarono a riflettere sul significato di questi stessi
‘stati’ , giungendo a conclusioni rilevanti anche per il pensiero politico
europeo e la nostra dottrina dello Stato”.
Infine nei capitoli quarto e
quinto, rispettivamente dedicati a Francisco
de Vitoria e Amerigo Vespucci,
si invita a ripensare le idee di eccezionalità (delle istituzioni americane) e
di salvezza ( come effetto di una loro ricaduta su quelle europee). Idee, al
cui fascino obliquo, la stessa Europa stenta tuttora a sottrarsi. Purtroppo.
Carlo Gambescia
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