Riflessioni
Israele, la guerra e la pace
Storia e
politica insegnano che si giunge alla pace - come intervallo armistiziale tra
una guerra e l’altra - non per idealistiche trasformazioni culturali, come
sostengono pacifisti e chiese, ma attraverso due precise modalità: o il
conflitto militare che mette in condizione di non nuocere il perdente; o una
trattativa frutto di interessi “concreti”, basati sulla comune volontà di
garantire un equilibrio di fatto tra forze politiche ed economiche più o meno
dello stesso peso (come ad esempio durante la Guerra Fredda o
nell’Europa post-napoleonica di Metternich).
Ora, l’ennesima sfida lanciata da Israele con il sanguinoso blitz di ieri,
indica due cose: uno, che la strategia dello Stato Ebraico è quella di non
ammettere interferenze di alcun genere ; due, che Israele non vuole rinunciare
alla sua egemonia sul Medio Oriente, o meglio, per dirla politologicamente, non può. Perché, infatti, stanti le
differenze economiche e militari a suo favore, Israele, al momento, dovrebbe
volontariamente giungere a patti con gli avversari? Perché Israele dovrebbe
intenzionalmente rinunciare alla sua egemonia, diluendo i propri interessi
politici ed economici egemonici, che non coincidono, con quelli degli altri
paesi mediorientali, inferiori per peso militare, politico ed economico?
In politica - ed è bene non dimenticarlo mai - domina esclusivamente la logica
di potenza o quella dell’interesse di fatto. Il che significa che un attore
politico di regola non accetta mai di spogliarsi volontariamente della sua
forza egemonica: chi ha il potere tende a conservarlo, se non ad aumentarlo.
Certo, lo Stato di Israele potrebbe essere costretto alla pace da Stati Uniti,
Europa, Russia. Ma in che modo? Con un guerra… Tuttavia, quando non esistono le
condizioni di fatto per la pace (fondate su una sconfitta militare dirimente, o
sull’equilibrio di fatto tra interessi politici ed economici paritari), la
pace, se imposta, assume natura artificiale, rischiando così di essere di breve
durata e foriera di guerre ancora più feroci. Di regola, una “pace mal
digerita” conduce a nuovi conflitti, proprio perché rivolta a “ riscattare” con
il sangue una pace percepita, sul piano dell'immaginario politico, come frutto
di un "tradimento".
Pertanto nel futuro del Medio Oriente c’è sicuramente un’altra guerra. E questa
volta potrebbe essere quella dirimente. Ma per chi? Difficile rispondere. Anche
se la bilancia della superiorità militare sembra pendere dalla parte di
Israele.
Carlo Gambescia
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