Il libro della settimana: Fulvio Abbate, Sul conformismo di sinistra, Gaffi, Roma 2005, pp. 80, Euro 4,00
http://www.gaffi.it/cgi-bin/front_end/libri?id=337&autori=1 |
Sul conformismo come costante sociologica ci sono intere
biblioteche. Dispiace ammetterlo ma in realtà l'uomo è un animale conformista.
C'è un conformismo "attivo" che tacitamente ordina di parlare bene di
certe persone, idee e questioni. C'è un conformismo "passivo" che
vieta invece di parlarne male. E infine c'è un conformismo
"orwelliano" che vieta di parlarne proprio.
Ecco, in Italia nei riguardi della sinistra, e da
sinistra, ha sempre prevalso il conformismo attivo: se ne doveva parlare, e
bene . Anche per giuste ragioni di autodifesa: a parlarne male bastava già una
destra, tutta dio, patria e famiglia, tradimenti e buoni affari.
Il primo a violare il tabù fu Mughini, alla fine anni
Settanta, con un caustico libro di "addio ai compagni". E una delle
sue accuse alla sinistra era quella della totale mancanza di autoironia.
Sicuramente Abbate non gradirà l'accostamento. Dal
momento che Mughini, come si diceva una volta, oggi vive e lotta col
Cavaliere... E lui invece scrive sull' "Unità". Ma la tesi che espone
e difende nel suo godibilissimo pamphlet è la stessa : quella di una sinistra,
incapace di lasciarsi andare e ridere di sé. Che probabilmente è frutto dell'
incapacità costituiva di pensare la rivoluzione ( e poi tutto il resto, fino a
Occhetto e Fassino) come "festa". A cominciare da Marx e Lenin,
ideologicamente monomandatari, e stando alle biografie più accreditate, di una
"pesantezza" assoluta. Ma questa è un nostra opinione.
Comunque sia, l' aspetto è ben colto da Abbate, quando a
proposito delle ridanciane incursioni televisive anni Novanta di Chiambretti,
ricorda la reazione cominformista di un addetto stampa di Rifondazione:
"Chiambretti, cercava di uscire [dalla sala stampa in cui l'avevano confinato],
faceva domande, e allora quello, l'uomo fidato del servizio d'ordine di
Rifondazione, lo guardava con l'occhio da pazzo che si riserva al provocatore e
ripeteva 'Chiambretti siamo comunisti, veniamo da lontano e andiamo lontano,
Chiambretti, siamo comunisti..." (p. 43).
Ciò non significa che per Abbate Chiambretti abbia la
stessa levatura di Marx, ma che questa supponenza, che "viene da
lontano" è trapassata alla sinistra di oggi. Che si sente in dovere,
cadendo spesso nel ridicolo, di difendere d'ufficio certi registi, attori e
cantanti, stilisti e pubblicitari, solo perché iscritti nell'Albo d'Oro Del
Progressismo Mondiale... Iscritti, ma da chi? Dalla stessa sinistra che li
difende... Perché? Per la semplice ragione, crediamo, che Dio è morto, Marx
pure, e non resta allora che Carla Bruni...
C'è nella critica di Abbate, solo apparentemente
semiseria, un'intuizione profonda, metapolitica, che non può non essere
condivisa: quella di riuscire a coniugare politica e leggerezza, rigore e
fantasia (ma non nel senso della "pubblipolitica"...), volontà di
cambiare e autoironia. E soprattutto di non nascondere mai le debolezze e
miserie dietro un principio d'ordine. Quell' appellarsi a un'autorità
indiscussa per ottenere l'assenso della gente.
Ed è questa una delle ragioni per cui Abbate ha smesso
"di sentirsi compiutamente comunista" a far tempo dal "tardo
pomeriggio del 1 maggio 1972". Ecco l'episodio: "Saranno state
all'incirca le sette di sera quando una signora sovietica residente in Italia,
coniugata con un dirigente del partito locale, incaricata di gestire un gruppo
di suoi concittadini in vacanza premio nell'Europa capitalistica, all'obiezione
mossa da un'altra compagna': 'Ma perché li tenete ad aspettare qui la freddo,
sulla banchina del porto, non sarebbe meglio farli salire tutti insieme a
bordo?', rispose con un fulmineo scatto carnivoro, replicando con una sentenza
assoluta, da tavole delle leggi speciali di polizia: ' il comunismo è ordine!'
"(p. 7).
Risposta che avrebbe meritato, e pienamente, il
famigerato pernacchio di Eduardo. Questa nostra caduta di stile può
infastidire, ma sicuramente Abbate sarà d'accordo e perdonerà, benedicente,
come era uso fare con i bizzarri ospiti di "Teledurruti"...
In conclusione, un pamphlet che è più istruttivo e di
certo più divertente di uno studio sociologico. Che creererà all'autore non
pochi nemici. E anche all'editore, al quale va però il grande merito di averlo
pubblicato (www.gaffi.it).
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento