domenica 26 marzo 2006


Il libro della settimana: Frank Furedi, Il nuovo conformismo. Troppa psicoloogia nella vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2005m pp. 294, Euro 25,00 . 



Frank Furedi, ungherese, insegna sociologia in Gran Bretagna (Università del Kent). Si è già fatto notare qualche anno fa per un denso volume sulla Culture of the Fear (1997). Un libro scomodo e ben documentato sulla relazione tra rifiuto dell'altro, ripiegamento su se stessi, e diffusione sociale di una mentalità, come dire, da stato d'assedio, favorita dalle stesse istituzioni politiche a scopo di controllo sociale preventivo. Secondo questo studioso, oggi si vive in un clima hobbesiano, anche se apparentemente le "luci della città" sembrano non spegnersi mai. Si vive non più con e per l'altro, ma contro l'altro. La crisi dell'individualismo rinvierebbe dunque alla guerra di tutti contro tutti... E a un moderno Stato-Leviatano che protegge e incatena l'uomo al tempo stesso.
In questo nuovo lavoro, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, uscito in lingua originale nel 2004, e subito tradotto in italiano, Furedi pone e studia una questione fondamentale: quella dell'uso sociale della psicologia, e più in generale dell'idea di "vulnerabilità" degli esseri umani che vi è dietro. Furedi, non critica le tecniche terapeutiche, o in senso stretto il lavoro degli psicologi, ma la mentalità, oggi assai difusa, di considerare l'uomo come un essere perennemente in crisi, emozionalmente fragile, e bisognoso di cure e terapie "specialistiche", per andare avanti: per sopravvivere. In buona sostanza Furedi, non nega che vi siano uomini, come singoli, bisognosi di cure, ma critica la "cultura terapeutica" che caratterizza la nostra epoca. Per una precisa ragione: il fatto che in alcuni paesi ( come Stati Uniti e Gran Bretagna) siano le stesse istituzioni pubbliche, semipubbliche, private, a occuparsi del "benessere psicologico" dell'uomo, implica il rischio che la società possa trasformarsi, a breve scadenza, in una specie di gigantesco "setting". Dove sarebbero le istituzioni, il nuovo Leviatano, a decidere chi sia sano, malato, bisognose di cure, eccetera.
Risulta evidente che Furedi riprende e sviluppa le tesi di Rieff, Lasch, Sennett, e senza volerlo, visto che non lo cita, quelle di Sorokin. Ma ci sono pagine del libro in cui la sua critica di una società, come la nostra, a suo avviso ammalata di individualismo e priva di tradizioni condivise, si avvicina per vigore e capacità analitica, alle analisi di grandi reazionari come Spengler, o addirittura all'Evola di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo. Ed è probabilmente proprio questa deriva, come dire, tradizionalista, che non è piaciuta ai pochi recensori del libro. Che uscito l'estate scorsa, è praticamente passato inosservato.
In effetti il punto debole del libro è proprio questo. Furedi critica i processi di secolarizzazione che hanno consegnato l'individuo nelle mani di psicologi e assistenti sociali, dopo averlo liberato da Chiesa e Aristocrazia, ma non indica alternative culturali possibili.
Fortunatamente Furedi non privilegia aurei passati o mitiche tradizioni eterne. E ciò è un bene. Ma al tempo stesso, non fa seguire, alle sue comunque interessanti analisi, "percorsi di fuoriuscita". Si dirà non è compito del sociologo. Certo. Però un volta chiuso il libro si avverte quella spiacevole sensazione, che prova sempre il visitatore smarritosi tra le rovine di una gigantesca città perduta. Che si guarda intorno attonito in cerca di una vita d'uscita... O dell'aiuto di una guida. 

Carlo Gambescia

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