Il libro della settimana: Frank Furedi, Il nuovo conformismo. Troppa psicoloogia nella vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2005m pp. 294, Euro 25,00 .
Frank
Furedi, ungherese, insegna sociologia in Gran Bretagna (Università del Kent).
Si è già fatto notare qualche anno fa per un denso volume sulla Culture of
the Fear (1997). Un libro scomodo e ben documentato sulla relazione tra
rifiuto dell'altro, ripiegamento su se stessi, e diffusione sociale di una
mentalità, come dire, da stato d'assedio, favorita dalle stesse istituzioni
politiche a scopo di controllo sociale preventivo. Secondo questo studioso,
oggi si vive in un clima hobbesiano, anche se apparentemente le "luci
della città" sembrano non spegnersi mai. Si vive non più con e per
l'altro, ma contro l'altro. La crisi dell'individualismo rinvierebbe dunque
alla guerra di tutti contro tutti... E a un moderno Stato-Leviatano che
protegge e incatena l'uomo al tempo stesso.
In
questo nuovo lavoro, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita
quotidiana, uscito in lingua originale nel 2004, e subito tradotto in
italiano, Furedi pone e studia una questione fondamentale: quella dell'uso
sociale della psicologia, e più in generale dell'idea di
"vulnerabilità" degli esseri umani che vi è dietro. Furedi, non
critica le tecniche terapeutiche, o in senso stretto il lavoro degli psicologi,
ma la mentalità, oggi assai difusa, di considerare l'uomo come un essere
perennemente in crisi, emozionalmente fragile, e bisognoso di cure e terapie "specialistiche",
per andare avanti: per sopravvivere. In buona sostanza Furedi, non nega che vi
siano uomini, come singoli, bisognosi di cure, ma critica la "cultura
terapeutica" che caratterizza la nostra epoca. Per una precisa ragione: il
fatto che in alcuni paesi ( come Stati Uniti e Gran Bretagna) siano le stesse
istituzioni pubbliche, semipubbliche, private, a occuparsi del "benessere
psicologico" dell'uomo, implica il rischio che la società possa
trasformarsi, a breve scadenza, in una specie di gigantesco
"setting". Dove sarebbero le istituzioni, il nuovo Leviatano, a
decidere chi sia sano, malato, bisognose di cure, eccetera.
Risulta
evidente che Furedi riprende e sviluppa le tesi di Rieff, Lasch, Sennett, e
senza volerlo, visto che non lo cita, quelle di Sorokin. Ma ci sono pagine del
libro in cui la sua critica di una società, come la nostra, a suo avviso
ammalata di individualismo e priva di tradizioni condivise, si avvicina per
vigore e capacità analitica, alle analisi di grandi reazionari come Spengler, o
addirittura all'Evola di Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo. Ed è probabilmente proprio questa deriva, come dire,
tradizionalista, che non è piaciuta ai pochi recensori del libro. Che uscito
l'estate scorsa, è praticamente passato inosservato.
In
effetti il punto debole del libro è proprio questo. Furedi critica i processi
di secolarizzazione che hanno consegnato l'individuo nelle mani di psicologi e
assistenti sociali, dopo averlo liberato da Chiesa e Aristocrazia, ma non
indica alternative culturali possibili.
Fortunatamente
Furedi non privilegia aurei passati o mitiche tradizioni eterne. E ciò è un
bene. Ma al tempo stesso, non fa seguire, alle sue comunque interessanti
analisi, "percorsi di fuoriuscita". Si dirà non è compito del sociologo.
Certo. Però un volta chiuso il libro si avverte quella spiacevole sensazione,
che prova sempre il visitatore smarritosi tra le rovine di una gigantesca città
perduta. Che si guarda intorno attonito in cerca di una vita d'uscita... O
dell'aiuto di una guida.
Carlo Gambescia
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