Paradossi italiani
Berlusconi e Confindustria
Il fuori programma di Berlusconi a Vicenza è
significativo. Almeno per due ragioni.
La prima è che il Cavaliere ormai sente odore di
sconfitta. E di conseguenza punta tutto sui numeri a effetto. E' un ottimo
venditore, e lo ha provato di nuovo a Vicenza : è riuscito a dividere e
infiammare l'uditorio. E comunque a riscuotere un certo consenso, soprattutto
tra i peones (i medi imprenditori). Il che però non gli permetterà di vincere.
La seconda è che finalmente è venuto allo scoperto
l'atteggiamento di totale chiusura dei vertici di Confindustria nel riguardi del
fondatore di Forza Italia. Basta leggere i giornali di oggi ("Berlusconi
ci vuole dividere, eccetera.."). Ora, è vero che nel 2001, Berlusconi fu
appoggiato da D'Amato, altro outsider, ma è altrettanto vero che già all'epoca,
tra gli industriali aveva più nemici che amici. Venne appoggiato da
Confindustria più per porre riparo alla dannosa litigiosità del centrosinistra,
(quattro governi in cinque anni), che per meriti propri.
Perché questa ostilità nei riguardi di Berlusconi?
In primo luogo, perché i vertici dell'economia italiana
lo considerano un parvenu. Si pensi all'atteggiamento snobistico nei suoi riguardi
della famiglia Agnelli (ad esempio il rifiuto di Montezemolo, attuale Presidente di Confindustria, di far parte,
anche come esterno, del governo di centrodestra, proprio lui che in passato,
come in occasione dei Mondiali '90, aveva invece accettato incarichi
parapolitici dal Pentapartito). Berlusconi perciò viene considerato un
avventuriero: un uomo venuto dal nulla. Il che è vero. Ma va detto che anche
gli Agnelli, fino alla prima guerra mondiale furono giudicati tali. E qui basta
sfogliare qualsiasi buona storia sociale dell'industria moderna, per scoprire
che sussistono pesanti "differenze di classe" anche all'interno degli
ceti economicamente dominanti. La ricchezza per diventare
"onorevole", deve avere almeno un secolo di consolidamento alle
spalle. E La fortuna di Berlusconi ha meno di trent'anni.
In secondo luogo, e questo è un dato di sociologia
politica (documentato da ricerche), nelle democrazie post-seconda guerra
mondiale, e non solo in Italia, i vertici economici hanno sempre preferito
governi di centrosinistra (attenzione di centrosinistra, non di sinistra in
senso stretto), dal momento che questi hanno garantito e garantiscono, grazie
al rapporto privilegiato con i sindacati, eventuali riforme del mercato del
lavoro, o comunque di ancorare, grazie al consenso concertato tra le parti
sociali, riforme e alta produttività del lavoro. Un solo esempio: le riforme
italiane in senso liberista del mercato del lavoro, sono state introdotte negli
anni Novanta dai governi di centrosinistra. Di qui l'inutilità per Confindustria
di un Berlusconi incapace, non solo di controllare i sindacati, ma addirittura
di trattare...
La vera domanda, al di là del folclore pro o contro il
Cavaliere, è appunto questa: può Berlusconi garantire quella radicale riforma
del mercato del lavoro in chiave liberista, che Confindustria invoca da anni.
No. E chi può garantirla? Prodi e il centrosinistra.
Il tragico paradosso italiano è tutto qui. Da un lato un
Berlusconi che vara leggi ad personam, e dall'altro un centrosinistra che si
prepara a realizzare, malgrado alcune sue componenti minoritarie non siano
d'accordo, una radicale riforma del mercato del lavoro. E probabilmente anche
delle pensioni.
Altrimenti come spiegare il totale appoggio di tutta la
stampa ( che una volta si chiamava in senso spregiativo confindustriale) al
centrosinistra. Prodi che di solito è così cauto, dovrà pure aver promesso
qualcosa a Montezemolo.
E sarebbe bello, prima di andare a votare, magari per il
centrosinistra, capire che cosa...
Carlo Gambescia
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