Profili/16
Harry Braverman
Harry Braverman (1920-1976) è autore di un libro molto importante, Labour
and Monopoly Capital. The Degradation of Work in the Twentieth Century (1974, trad. it. Einaudi Torino 1978). Si tratta probabilmente dello
studio più approfondito sui rapporti tra lavoro e strutture economiche e
sociali mai apparso dalla pubblicazione del Libro I del Capitale
di Marx. Il giudizio può apparire eccessivo ma una volta letto il
capolavoro di Braverman, come accade quando si legge Marx, si capisce perché il capitalismo plus ça change plus c'est la meme chose.
Harry Braverman nasce nel 1920 a New York City da
modestissima famiglia. E' costretto per ragioni economiche a interrompere gli
studi al primo anno di college. Lavora per sette anni come calderaio al
Brooklyn Navy Yard, e poi per altri sette nell'industria metalmeccanica come
raccordatore, lamierista e tracciatore. Al lavoro operaio unisce dal 1937
un'intensa attività politica all'interno del Socialist Work Party ( di
derivazione trotzkista). Dal quale viene espulso all'inizio degli anni
Cinquanta, per le sue posizioni moderate. Nel 1954 fonda e diviene coeditore
dell' "American Socialist". E dopo la sua chiusura (1959), diviene
redattore della Grove Press (1960), e in seguito direttore editoriale della
"Monthly Review Press" (1967). Un male incurabile lo uccide a
cinquantasei anni nel 1976.
Giornalista (spesso firmandosi Harry Frankel), saggista
politico , attento studioso di Marx e del marxismo, e in particolare del Libro
I del Capitale , Harry Braverman ha colto in Labour and
Monopoly Capital due aspetti costitutivi dell'organizzazione capitalistica
del lavoro, che non riguardano solo la realtà americana, da lui attentamente
studiata nel libro.
Il primo è che il lavoro è sottoposto a un costante
processo di razionalizzazione e degradazione. La razionalizzazione, frutto
della divisione capitalistica del lavoro, è dovuta soprattutto alla costante
necessità di ridurre i costi e accrescere i profitti. La degradazione sociale
ne è invece l'effetto collaterale: al lavoratore, a poco a poco, non si
richiede più alcuna partecipazione ideativa, ma solo una meccanica esecuzione
di compiti prestabiliti. Fin qui, si potrebbe, dire nulla di nuovo. Ma il
valore dell'analisi di Braverman è nel fatto che egli reputa questo processo
così profondo da trasformare il lavoratore, non tanto (o solo) nel proletario
sociale di Marx, quanto in un proletario psichico: una specie di uomo-macchina,
che viene privato di qualsiasi capacità creativa.
Il secondo è che il rapporto capitalistico di lavoro è
sempre di tipo gerarchico. Secondo Braverman, le teorie sulla democrazia
sindacale sono una specie di "libretto dei sogni" del riformismo
borghese. Il capitalismo è divisione del lavoro e perciò non può non essere
anche gerarchico. Altrimenti l'organizzazione produttiva non potrebbe
funzionare. Ma attenzione, a differenza di Marx, Braverman ritiene che un
sistema economico, come quello capitalistico, che si riproduce, solo crescendo
in chiave monopolistica, sia condannato a diventare sempre più gerarchico. Di
qui la difficoltà di contrastare e superare una così perfetta macchina dello
sfruttamento umano. E questo perché la gerarchia produttiva, economica e
sociale, può avvalersi in misura crescente di docili lavoratori
"addestrati" a pensare secondo le esigenze del capitale. Una
proletarizzazione delle menti, che si avvale anche di un ben costruito sistema
di stratificazione sociale (Braverman, parla di "proletariato
commerciale" i termini di lavori svolti, ma anche come soggetto-oggetto di
gratificazioni consumistiche). Si tratta perciò di un nemico molto articolato e
difficile da combattere.
E in questo senso, a differenza di Marx, Braverman non
confida nella dialettica delle forze produttive e sociali. Ma nella capacità
delle scienza moderna di fornire all'uomo gli strumenti conoscitivi e pratici
per fuoriuscire dal capitalismo (un aspetto che si coglie soprattutto leggendo
i suoi scritti giornalistici sul futuro del socialismo).
A dire il vero, questo ottimismo scientista mal si
concilia con il lucido realismo ( e per alcuni pessimismo, ad esempio
Christopher Lasch) delle sue analisi. Comunque sia, gli strumenti forniti da
Braverman (proletarizzazione delle menti e riproduzione gerarchica) consentono
di criticare e respingere come erronee le teorie che oggi giustificano
l'evoluzione postfordista del capitalismo. Dal momento che Braverman spiega, e
con grande lucidità, perché il capitalismo malgrado gli sforzi di sembrare
diverso (si leggano ad esempio le pagine illuminanti sul "mito della
qualificazione del lavoratore", sembrano scritte oggi) continui invece ad
apparire, all'osservatore attento, identico al capitalismo dei Taylor e dei Ford.
Carlo Gambescia
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