I libri della settimana: J.B. Schor, Nati per comprare, Apogeo, euro 18; J.F. English, The Economy of Prestige, Harvard University Press, usd 29.95
Ecco due libri per capire come funziona la società dei
consumi.
Il libro di Juliet B. Schor, Nati per comprare.
Salviamo i nostri figli ostaggi della pubblictà (Apogeo, 2005 pp. 291, www.apogeoline.com), ricercatrice della
Boston University è importante per scoprire come la pubblicità sia ormai
diventata un elemento della socializzazione infantile. Secondo le sue ricerche
il bambino americano medio a 18 mesi è capace di riconoscere i loghi
pubblicitari, e a due anni di chiedere ai genitori prodotti pubblicizzati in
televisione, con parole proprie e indicandone "col ditino" la marca.
Questo indica che negli Stati Uniti la pressione sociale al consumo sui bambini
è fortissima. Il che implica enormi investimenti nel marketing per l'infanzia.
Ad esempio, alcuni canali televisivi, come Channel One, hanno stipulato accordi
con le scuole primarie, scambiando la fornitura di materiale audiovisivo e
attrezzature con la visione obbligatoria, nei luoghi di ricreazione se non
addirittura in classe, di dieci minuti giornalieri di pubblicità. La Schor esamina anche il
rapporto, purtroppo di causalità diretta, tra bombardamento pubblicitario e
comportamenti antisociali. Dal momento che i bambini sottoposti a stress da
acquisti forzati, non crescono in ambienti familiari sani e creativi, ma
mercificati e votati "istituzionalmente" al culto del possesso. E ciò
accade a prescindere dalla qualità e dal livello del reddito familiare. In tal
senso si può parlare per il bambino medio americano di una vera e propria
perdita dell'infanzia. Il "disadattamento" da stress pubblicitario
non potrà perciò non avere pesanti conseguenze sul futuro della società
americana. Queste le pessimistiche conclusioni dell'autrice. Sarebbe molto
interessante condurre un analogo studio sulla situazione dell' infanzia europea
italiana, per individuare, si spera, possibili dissonanze con la realtà
americana, e comunque, eventuali rimedi.
Il testo di James F.
English, The Economy of Prestige. Prizes,
Awards, and Circulation of Cultural Value (Harvard
University Press, 2005, pp. 409 www.hup.harvard.edu/catalog/engeco),
professore di letteratura della Pennsylvania University, è utile per scoprire i
meccanismi che regolano l'industria culturale. L'autore riprende e sviluppa le
tesi sul "capitale sociale" del sociologo francese Pierre Bourdieu. I
premi letterari, artistici, cinematografici, musicali, eccetera, sono studiati
come meccanismi riproduttivi di un valore economico che attribuisce,
moltiplicandosi, a vincitori, produttori e organizzatori, un enorme potere
sociale analogo a quello degli oligopoli di mercato. Di qui la necessaria
"commercializzazione" a ogni livello del "valore sociale di
riproduzione" del "bene sociale-premio" Un processo che si
estende a tutti. Anche agli stessi avversari del consumismo culturale. I quali,
pur istituendo "contropremi" e "controfestival", finiscono
inghiottiti, appena le "contromanifestazioni hanno successo (e l'autore
cita, tra gli altri, il caso del "Sundance Festival") nel circuito
mediatico della commercializzazione e della riproduzione del valore sociale di
mercato. L'analisi di English non assume mai alcun connotato moralistico, ma
pecca probabilmente di economicismo (come del resto anche l'analisi del suo
maestro Bourdieu; notevole a riguardo la polemica, tutta francese, negli anni
Ottanta tra Bourdieu e Alain Caillé...). Si tratta, comunque, di un libro
interessante perché documentatissino e ricco di informazioni, in particolare
sull' industria anglo- americana dei premi. E di cui si raccomanda la
traduzione italiana.
Carlo Gambescia
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