giovedì 9 marzo 2006


Profili/17 
Reinhard Bendix




La sociologia attuale si presenta al profano come un sapere sempre più specializzato, empirico e soprattutto "schiacciato" sul presente. La storia, che per i classici della disciplina da Durkheim a Weber, era il terreno ideale per formulare e verificare ipotesi teoriche e studiare in chiave comparativa le istituzioni, oggi non ha più alcun interesse per il sociologo. Basta sfogliare un qualsiasi manuale per trovarsi dinanzi a una specie di "prontuario del pronto soccorso sociale".
Ecco perché sarebbe utile rileggere le opere di Reinhard Bendix (1916-1991), uno dei pochi sociologi che nella seconda metà del Novecento abbia cercato di coniugare sociologia e storia.
Reinhard Bendix nasce in Germania, a Berlino nel 1916, da una famiglia benestante e colta di origine ebraica. Il padre, un brillante avvocato e studioso di problemi giuridici e sociali, ben introdotto negli ambienti socialdemocratici, ma poco favorevole all'estremismo comunista e nazionalsocialista, sarà per il giovane Bendix la "sua università". Nel 1938 la famiglia, a causa delle persecuzioni, emigra in America. Il giovane Reinhard studia a Chicago dove consegue il Phd in filosofia e scienze sociali (1943). Dopo di che insegna per un breve periodo presso l'Università del Colorado. Nel 1947 si trasferisce all'Università della California Berkeley, dove insegnerà fino alla morte (1991). Nel 1969 è nominato presidente dell'American Sociological Association. Nel corso della sua carriera è chiamato a insegnare anche all'estero e insignito di prestigiosi premi. Negli anni Ottanta infine ritorna in Germania, nel periodo dell riunificazione, per ricordare agli studenti berlinesi, proprio lui che giovanissimo aveva sofferto l'esperienza dell' "utopia a sfondo totalitario" nazionalsocialista e comunista, come democrazia e libertà siano i beni più preziosi, da conservare e difendere a ogni costo.
Il filo conduttore dell'opera di Bendix, che aveva intellettualmente alle spalle, a differenza della sociologia statunitense del suo tempo, lo storicismo tedesco (frutto di consuetudini di studio giovanili, legate alla lezione paterna), è rappresentato dalle trasformazioni sociologiche del concetto di autorità. Bendix ne studia in chiave storico-comparativa, e sviluppando le intuizioni weberiane su potere razionale e tradizionale, tutti i passaggi dall'età medievale a quella moderna, dalle varie modernizzazioni (culturali, politiche, sociali, economiche) ai processi di colonizzazione e decolonizzazione. Con una ricchezza di informazione storica e sociologica che non ha eguali, se non nell'opera di Max Weber.
Per Bendix il concetto di autorità, non è un costrutto operativo puramente empirico e "misurabile", ma una concetto sociologico da verificare storicamente.
Tre sono le ipotesi intorno a cui ruota la sua analisi: a) l' autorità è un fatto culturale prima che economico; b) la moderna secolarizzazione del concetto di autorità non è un processo irreversibile, dal momento che l'uomo è al tempo stesso un essere razionale-irrazionale, perciò aperto alla dialettica storica tra fato, destino e libertà; c) le costruzioni del concetto di autorità sia sul piano "economico" (come nel caso dello sviluppo della grande industria), sia su quello "nazionale" ( come a proposito della nascita dello stato-nazione) sono sempre il portato di un'opera di socializzazione. Attraverso la quale le élite intellettuali che "trasmettono" (dall'alto) i nuovi valori, non possono non riceverne di ritorno dal popolo ( e dunque dal basso) una versione, non meccanicamente consensuale, ma "ragionata". Pertanto i processi di socializzazione politica e dell'autorità sono bidirezionali: dove c'è "unidirezionalità", come nei totalitarismi e nazionalismi fanatici, si aprono sempre crisi spaventose in cui non solo viene messa in discussione una classe politica e intellettuale al potere, ma la stessa idea di autorità in quanto tale.
Il suo approccio, ad esempio, sarebbe oggi particolarmente utile per capire gli sviluppi e il significato della crisi irachena, dove la democrazia "importata" e imposta con le armi dagli americani e grazie compiacenti élite locali è frutto di un tipico processo "unidirezionale", che potrebbe causare la scomparsa definitiva, o comunque per un lungo periodo di tempo, di qualsiasi idea di autorità condivisa da tutta popolazione.

Opere principali: Social Mobility in Industrial Society (con S.M. Lipset, 1959, trad. it. Marsilio, Padova 1969-1972), State and Society: A Reader in Comparative Political Sociology ( et al, eds, 1968, 1974), Work and Authority in Industry: Ideologies of Management in the Course of Industrialization (1956, 1974, trad. it, Etas, Milano 1973), Nation-Building and Citizenship (1964, 1976, trad. it. Laterza 1969), Max Weber: An Intellectual Portrait (1960, 1977, trad. it. Zanichelli 1984), Kings or People: Power and the Mandate to Rule ( 1978, trad. it. Feltrinelli 1980), Force, Fate, and Freedom (1984, trad. it. il Mulino 1987), Embattled Reason. Essay on Social Knowledge (1988-1989, 2 voll.), From Berlin to Berkeley. German-Jewish Identities (1986).

Carlo Gambescia

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