sabato 22 marzo 2025

Un “capolavoro di bufala”

 


La cosa non è recente. E rinvia all’importanza, a nostro avviso immeritata, o comunque eccessiva, assunta, più o meno dai tempi di McLuhan, dagli studi sulla comunicazione e sul linguaggio comunicativo, in particolare politico.

Per capire la brutta piega analitica facciamo subito un esempio (il lettore ora penserà quando si dice il caso…): Giorgia Meloni ha attaccato il Manifesto di Ventotene, dipingendolo come frutto di un progetto comunista, addirittura totalitario, che andrebbe da Spinelli a Von der Leyen.

Una falsità di stampo complottista e populista, con addentellati nella cultura fascista, notoriamente nemica, come proclamava Mussolini, delle demoplutocrazie: ieri a Londra e Parigi, oggi a Bruxelles. Giorgia Meloni mentendo asserisce che l’Unione Europea è nelle mani dei ricchi e dei burocrati, che si sarebbero  messi in combutta per opprimere e disintegrare il concetto stesso di nazione.

Insomma, una bufala. O comunque a voler essere clementi una tesi inverificabile: né vera né falsa, quindi indeterminabile. Che, purtroppo, in chi vi crede, evoca salutari apocalissi.

Reazioni? Qui viene il bello. Invece di smontarla, perché molto pericolosa, dal momento che un’asserzione del genere cancella ottant’anni di liberal-democrazia, cosa succede? Salta fuori il solito esercito di cretini, esperti in comunicazione politica, tutti pronti a celebrare il colpo comunicativo di Giorgia Meloni: non importa che sia o meno una bufala, si sente dire. È un capolavoro. Anzi un capolavoro di bufala.

Per quale ragione? Perché attaccando il Manifesto di Ventotene, Giorgia Meloni avrebbe ricompattato la destra, spostato l’attenzione su una questione che ormai non porta voti alla sinistra, questione che, anzi, la divide, e inutilmente. L’antifascismo non è più di moda. Perché perdere tempo ? A che serve spiegare che il manifesto di Ventotene, eccetera, eccetera? Non sposta un voto, chi se ne frega… Ecco le superbe conclusioni dell’esperto in comunicazione politica.

Ora è innegabile che la tecnica comunicativa giochi un suo ruolo, anche in politica, nel senso che il quando dire una cosa spesso è più importante del cosa si dice.

Però, attenzione, il cosa si dice, cioè il contenuto della comunicazione politica, ha un valore discriminante, rispetto al contenitore, cioè al quando e come si dice.

Perché non si tratta di spostare l’attenzione da un prodotto all’ altro ma di favorirne la dislocazione da un’idea all’altra. Qui, per inciso, emergono i limiti economicisti dell’approccio puramente comunicativo che mescola, appiattendo tutto, i beni con le idee sui beni.

Inoltre parliamo di un contenuto, palesemente falso, perché Il Manifesto di Ventotene non è un testo comunista ma, come detto, liberal-socialista (*). 

Il che significa che il Manifesto, piaccia o meno, rientra in pieno nella filosofia liberale. Però, ecco il punto: si tratta di una filosofia odiata dai fascisti come Giorgia Meloni, che, in linea con il pensiero reazionario, scorgono nel liberalismo e nel socialismo le due facce della stessa medaglia, cioè della modernità politica. 

Liberalismo, socialismo, comunismo, se non è zuppa è pan bagnato... Ecco il succo  del ragionamento meloniano. Perchè meravigliarsi?  La modernità politica da più di due secoli è il nemico  principale del pensiero controrivoluzionario.

Insomma sono in gioco valori fondamentali. Altro che capolavoro comunicativo…

Giorgia Meloni, mattone dopo mattone sta smantellando lo stato liberale, riprendendo l’opera di Mussolini. Ma si potrebbe risalire fino a Joseph de Maistre.

Inoltre lo stesso approccio comunicativo (“Ma che bravo!”, “Che comunicatore!”) viene esteso a Trump ed altri campioni della reazione. Oppure alla rilettura di vita e opere dei leader del passato: Giorgio Washington e Napoleone, Hitler e De Gaulle, Mussolini e Churchill.

Concludendo, lo specialista in comunicazione politica nella migliore ipotesi si occupa della forma. Il che, alla fin fine, può anche dare una mano alla scienza. Sempre che lo studio della forma non pregiudichi lo studio della sostanza. Cioè non si mescolino, come dicevamo, beni e idee sui beni.

Perciò si studino pure gli stili comunicativi dei leader. Fermo restando che sul piano della sostanza tra De Gaulle e Hitler esiste una bella differenza.

Sono cose che vanno dette. E ripeterle, anche a rischio di annoiare, non è mai una perdita di tempo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/03/gli-opposti-estremismi-ancora-sul.html . E qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/03/giorgia-meloni-sputa-contro-il.html .

2 commenti:

  1. Il guaio sta nel fatto se chi riceve il "messaggio" sia dotato o meno degli strumenti adatti a decodificarlo, ammesso e non concesso che l'azione di decodifica sia possibile a fronte di mezzi di comunicaizione così impositivi e che tale operazione importi ancora a qualcuno. In questo, dice bene, i sedicenti studiosi di comunicazione sono da anni complici di questo andazzo. La società dello spettacolo integrato si è ormai trasformata, a me pare, in una pièce teatrale da teatrino dei pupi dove i ruoli in commedia sono assegnati e tutto fa brodo, basta che intrattenga o diverta. Divertirsi da morire, scriveva qualcuno. Mesti saluti

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  2. Esatto. Grazie dell'interessante e appropriato commento.

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