Altro che “buttarla in caciara”. Il nome in copertina di Corrado Augias, odiatissimo dalle destre, ha fatto perdere la tramontana a Giorgia Meloni. Detta anche Isterix. Perché di Spinelli, Rossi e Colorni e relativo Manifesto di Ventotene, la Meloni sapeva e sa meno di zero.
Probabilmente qualcuno tra i suoi consiglieri si è ricordato all’improvviso di un libretto in argomento, revisionista, L’inganno europeo (2006). Un piccolo testo, per capirsi all’insegna della critica “alla marmaglia antieuropea di Ventotene”. Autore Enzo Erra, già giornalista del “Secolo d’Italia”, fascistissimo, ma non privo di cultura storica (benché a senso unico), scomparso qualche anno fa. E così è cominciata la caccia alla citazione ad hoc da sottoporre alla onnipotente fondatrice di Fratelli d’Italia.
Come abbiamo scritto ieri (*)il Manifesto di Ventotene è un testo liberal-socialista, scritto in uno dei momenti più bui della storia europea, da uomini, come Spinelli e Rossi, che avevano sulle spalle almeno dieci anni prigione e confino . Colorni sarà addirittura ucciso dai fascisti nel 1944.
Un appello a costruire, una volta sconfitto il nazifascismo, un’ Europa libera dalla lebbra nazionalista, finalmente pluralista sotto il profilo economico e sociale, rigorosamente anticomunista (non semplicemente antistalinista), capace di coniugare socialismo e liberalismo, evitando sia la paralisi statalistica, sia la logica predatoria dei grandi monopoli privati. Contro i quali Rossi, liberale einaudiano, lottò tutta la vita.
La dottrina liberal-socialista – perché di questo si tratta – una volta assicurati alcuni diritti fondamentali, punta sull’auto-organizzazione del sociale, su basi pluralistiche e decentralizzate, rispettando sia i diritti di proprietà che i diritti associativi, le libere imprese come le libere associazioni di mestiere. Insomma pubblico e privato insieme. Ma non per decreto. Si chiama, ripetiamo, liberal-socialismo.
Questo in teoria, perché – ecco il senso della parola “dottrina” – l’ idea liberal-socialista non è mai discesa fino in terra dalle nuvole delle grandi dottrine politiche.
Sotto questo profilo l’Unione Europea, non si può definire liberal-socialista, ma neppure una specie di reincarnazione dell’Unione Sovietica, come pretende Giorgia Meloni.
Siamo invece davanti a un’esperienza welfarista, che punta sullo scambio protezione sociale-obbedienza, dai risvolti inevitabilmente burocratici, che accomuna, sia la destra che la sinistra. Con un differenza, che la sinistra vuole che il welfare sia esteso anche i migranti. La destra no.
Pertanto, oggi come oggi, Spinelli, Rossi e Colorni, non si riconoscerebbero nel revanscismo nazionalista di Giorgia Meloni. Anzi fiuterebbero subito la venefica pista fascista. Ma neppure sposerebbero, pur favorendo l’accoglienza, la causa del welfarismo burocratico. Inoltre, se ci si passa l’espressione, schiferebbero Trump e Putin per schierarsi al fianco dell’Ucraina.
L’equivoca pace evocata dalla piazza di sabato non sarebbe cosa per loro. Colorni, che pubblicò il Manifesto in una Roma occupata dai nazifascisti, cadde con le armi in pugno. Venne fermato in via Livorno, vicino piazza Bologna. Dove nel dopoguerra, l’odiata demoplutocrazia italica, permise al Movimento Sociale di aprire una sua sezione. Per la cronaca, frequentata (sembra) da Maurizio Gasparri, oggi senatore di Forza Italia.
Pertanto, se da una parte c’è una Giorgia Meloni che strumentalizza il Manifesto, da faziosa e ignorante fascista, dall’altra non si può non rilevare un uso improprio del liberal-socialismo, qualcosa di lontanissimo dalla melassa welfarista di Bruxelles, che per giunta viene usato per giustificare una equivoca manifestazione sulla pace in nome di un’Europa, che oggi tutto è eccetto quella vagheggiata da Spinelli, Rossi e Colorni.
È vero, che peggio del fascismo non vi è nulla, però è altrettanto vero che non lo si combatte e vince con le menzogne.
Gli opposti estremismi non giovano alla buona politica liberale.
Carlo Gambescia
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